Circolo dei Lettori Creativi – Liceo «Giovenale Ancina»

Posts written by Gianfranco Bosio

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    Buongiorno a tutti,
    stamattina un amico che legge il nostro forum mi ha segnalato una canzone: ho pensato di condividerla qui, perché parla di tutti noi, genitori e figli, e questo, in fondo, è il tema universale su cui si chiude il "nostro" romanzo...

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    Vorrei segnalare una frase estrapolata dal commento di Caterina Gianolio, che ringrazio:
    “Assolutamente sbagliato è pensare che questo corpo, a portata degli sguardi di tutti, sia fatto ed esista in funzione di quegli sguardi. Non c'è errore più fatale che spostare il centro da noi stessi agli altri, concedendo a quest'ultimi diritti che non dovrebbero avere, libertà che non competono loro.”
    La frase racchiude il messaggio che la nostra Lettrice ha colto nella storia di “Balena”, ma, pensandoci bene, è anche un’esortazione più che mai attuale a non lasciare che altri si approprino della nostra libertà e ne dispongano a loro piacimento.

    Infine, rileggendo il post di Giulia Muscatelli sul potere delle storie, e collegandolo ai vostri ultimi commenti, che spesso ripercorrono la dolorosa formazione di Giulia-Balena, condivido una citazione da Eschilo, tragediografo greco del V secolo a.C.:

    “Il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore”.
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    Vorrei soffermarmi anch’io sulla figura del padre di Giulia, Domenico Muscatelli, sul cui ruolo molto avete scritto. “Il padre” è un personaggio che mi affascina, sia per sua la ricchezza di risonanze letterarie (quanti padri, e quanti figli, nella letteratura di tutti i tempi!) sia perché nella vita ricopro questo ruolo da molti anni, e non ho ancora finito di imparare…
    Domenico è certamente un personaggio imponente, non solo nel fisico; Giulia Ellena ha scritto che egli “ha popolato i primi undici anni di Giulia”: il verbo indica efficacemente come la sua complessa e imprevedibile personalità abbia riempito la vita della figlia, con la sua “figura pervasiva” (Beatrice Sampò). Sulle reazioni eccessive di Domenico, Giulia Lasagna ha riportato una citazione significativa: “Qualcuno occupava lo spazio del suo corpo, di tanto in tanto qualcosa gli entrava dentro e lo abitava, costringendolo a gesti assurdi e parole urlate" (p. 37), e Lucia l’ha completata: “più lo ricordo sbagliato, più lo sento vivo” (p. 38).
    E’ chiaro che Giulia, pur consapevole degli inquietanti eccessi del padre, lo assolve, in nome del legame assolutamente speciale che ha con lui. Ben diverso è il giudizio che ne dà l’altro figlio, Mario, che, come ha recentemente sottolineato Lorenzo nel suo commento, arriva quasi ad odiare il padre; credo che Lorenzo si riferisca a p. 121, alla fine della quale c’è quella frase terribile: “Poi ha la sua ultima trovata geniale, il colpo di scena, muore e io mi ritrovo nella merda più di prima”. La mia collega Laura Arese, su questa relazione padre-figlio e padre-figlia, ha scritto che Mario vede suo padre in modo più realistico rispetto a Giulia, che lo ha idealizzato.
    La scena, anzi, la scenata di Mario che demolisce la figura del padre davanti a Giulia, mi ha ricordato una situazione analoga dell’ Isola di Arturo, famoso romanzo di Elsa Morante, in cui il protagonista, Arturo, racconta la propria infanzia e adolescenza, quando ormai si sono concluse, ed egli ha abbandonato l’isola in cui era nato e vissuto fino ad allora. Arturo è “il figlio” che idealizza “il padre” (che pure lo trascura), assimilandolo ad una specie di semidio o eroe epico e perdonandogli le continue assenze e il disinteresse verso di lui. Diventando grande, però, Arturo, suo malgrado, scopre che il padre è tutt’altro che un eroe: è un uomo come tutti gli altri, con le sue debolezze e i suoi lati oscuri, che ha tentato di coprire con la menzogna. Mentre il padre sta per partire per l’ennesimo viaggio, abbandonando di nuovo il figlio sull’isola, Arturo (che ormai ha sedici anni) lo affronta in modo sempre più aggressivo, accusandolo apertamente: “Tu non tieni nessuna fede! – seguitai a gridare – né alle promesse e neanche ai giuramenti! Tu hai tradito pure l’amicizia! Ormai ti conosco, sei un traditore!”, dopodiché annuncia la propria partenza: “Me ne vado, sì… - io dissi con voce bassa. Poi con voce sempre più alta, cupa, disperata, ripetei: - Sì, me ne vado! E me ne voglio scordare, di te! Per sempre! Ascolta! Questa è l’ultima parola mia!”.
    Arturo se ne andrà davvero dall’isola della sua infanzia, ma la notte prima di partire si ricorderà del padre amato-odiato, ne rievocherà alcuni tratti, come “una sua alzata di spalle; un suo ridere distratto; oppure la forma grande e negletta delle sue unghie; le giunture delle sue dita”. Quel ricordo diventerà un dolore “acerbo”, ma Arturo si renderà conto che questo è un passaggio obbligato per crescere: “”Di qui sarei passato a un’altra età, e avrei riguardato a lui come a una favola”. Poco dopo aggiungerà: “Ormai gli perdonavo ogni cosa”.
    Ecco, i due momenti psicologici di Arturo (la rabbia contro il padre, e poi, dopo la “perdita”, la riappacificazione e il recupero affettuoso nel ricordo) nel nostro libro sono incarnati rispettivamente da Mario e da Giulia. Anche Domenico, come il padre di Arturo, scomparirà dalla storia “vera”, o meglio, “non se ne andrà mai ma a un certo punto si farà da parte. Non per mancanza di amore o di coraggio, questo no, ma perché sarà troppo stanco e allora lei [la moglie] lo capirà, gli lascerà la libertà, gli mostrerà amore concedendogli di andarsene e di osservarle ogni giorno da lontano” (p. 115-116).

    Da lontano, come ci viene detto nell’ultima pagina del romanzo: “La nostra famiglia non si è mai divisa, ha sempre avuto ragione mia madre, mio padre è rimasto, non in cielo né in terra, ma in uno stadio. Al centro del campo, illuminato da fari accecanti io e mia madre abbiamo portato avanti la partita. "La squadra" è l’espressione che lei una per descrivere le nostre vite da quando lui si è seduto sugli spalti a guardarci distante – lo vedo anche adesso, le cosce grandi e il sorriso, gli occhiali da sole e i gomiti premuti sulle ginocchia”.

    Da lontano, come tutti i buoni padri, che ad un certo punto si siedono sugli spalti, e guardano col sorriso i loro figli che giocano la propria partita.

    Edited by Gianfranco Bosio - 31/1/2024, 01:13
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    Poco fa sul mio cellulare è comparsa una scritta “Ultimo post di Giulia Muscatelli”. Potete immaginare la mia reazione… con emozione ho letto, con emozione ora scrivo.
    Nel nostro Circolo siamo soliti impegnarci nell’interpretazione del libro letto, nella convinzione che il lettore possa contribuire alla costruzione del senso di una storia, ma quando, come oggi, per una specie di corto circuito comunicativo, l’autrice parla direttamente con coloro che hanno letto, e in un certo senso, fatto esperienza della sua storia, allora la sorpresa e la gratificazione sono uniche.
    Le parole di Giulia Muscatelli ci mostrano il senso profondo dell’arte di narrare e di ascoltare le storie, ma io credo che nella nostra scuola, in cui spesso studiamo “storie” più o meno vicine a noi, per capirne i segreti, le parole dell’autrice diano significato a tutto il nostro impegno di lettura e studio.
    Il poeta latino Orazio, al termine di una sua narrazione, avvisò il lettore (magari superficiale) dicendogli: “E’ di te che si parla in questa storia”. Duemila anni dopo, Giulia Muscatelli ci conferma questo potere magico delle storie, di parlare di noi mentre parlano di altri. Ma io credo che Giulia dica ancora di più: le storie ci fanno “sentire meno soli” e ci aiutano a capire “chi siamo, o meglio, chi vorremmo essere”; le storie hanno dunque un potere generativo, che ci spinge a realizzare quello che dentro di noi sentiamo di essere.

    Grazie, Giulia, per il tempo che hai dedicato proprio a noi, e per l’affetto che abbiamo sentito vivo nelle tue parole, e che contraccambiamo col nostro abbraccio.
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    Sto leggendo con piacere i vostri ultimi interventi, che spesso si segnalano non solo per l’ampiezza, ma anche per l’articolazione e la profondità delle riflessioni: siete Lettrici e Lettori attenti e appassionati, ma sapete anche utilizzare efficacemente la parola scritta: i vostri insegnanti (me compreso!) saranno orgogliosi di voi!
    Diversi commenti continuano a sottolineare la schiettezza, la “sincerità” e l’”onestà” della voce narrante, che raggiunge così l’effetto di sensibilizzare i lettori, rendendoli consapevoli dei pregiudizi di una società che giudica dalle apparenze, imponendo modelli che alimentano il senso di inadeguatezza e rendono difficile l’accettazione di sé, soprattutto nel periodo dell’adolescenza (lo hanno fatto notare Alice, Ilaria, Desiree, Chiara Costamagna). Considerato il difficile contesto sociale e la situazione emotiva della protagonista, Lettrici e Lettori hanno colto e apprezzato il percorso compiuto da Giulia-Balena, non tanto nella capacità di tenere sotto controllo il peso, quanto in quella di accettarsi e amarsi così com’era. In proposito, riporto alcune vostre frasi significative: “la fragilità di una bambina che diventa una corazza” (Elena Chiavassa), “la sua fierezza nell'essere riuscita a guarire” (Benedetta), “quello che è stata non è più motivo di vergogna ma di orgoglio per non essersi arresa” (Eleonora Gatti).
    Le Lettrici hanno sottolineato come, alla fine del percorso, Giulia non solo non rifiuti Balena, ma la accolga come parte di sé: Anita lo ricorda riportando una citazione suggestiva; Sophia dice: “l'autrice ormai adulta imparerà ad accettarsi per com'è e a voler bene a « Balena», che nel bene e nel male farà sempre parte di lei come un tatuaggio indelebile” (credo che l’immagine del tatuaggio piacerebbe a Giulia Muscatelli!).
    Leggendo i vostri commenti si nota come l’autrice sia riuscita ad ottenere una forte partecipazione emotiva da parte dei lettori, suscitando empatia da parte di molti, che hanno visto nella vicenda di Giulia-Balena una storia di sofferenza, ma anche di consapevolezza e di speranza: “ha fatto riflettere su quanto spesso siamo troppo severi con noi stessi, vedendo solo i lati negativi e sottovalutando i piccoli traguardi che ogni giorno raggiungiamo” (Alessia). Anche per questo, avete scritto, "Balena è il libro che ognuno di noi deve leggere almeno una volta nella propria vita” (Sara Delsoglio).
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    Nei vostri commenti sono frequenti le citazioni e le riflessioni che riguardano le relazioni di Balena con le coetanee. Ne emerge l’immagine di una ragazza che ha bisogno di contatto umano (lo dice Chiara Chiavassa), e lo ricerca in modo intenso, e talvolta inevitabilmente acritico, lasciandosi attrarre (suo malgrado) dalle ragazze più popolari, che la usano come oggetto di divertimento e la bullizzano (lo fanno notare Lucia Marengo, Irene Filippa e Giulia Ellena). Balena, nonostante le ferite ricevute nel contatto con le coetanee, non viene mai meno al proprio codice morale, rifiutando la vendetta anche quando sarebbe giustificata e a portata di mano, come nel caso dell’ “amica” Maria (lo ha sottolineato Beatrice Bertero).
    Il suo animo gentile e timoroso di offendere, però, anziché aiutarla nelle relazioni, la isola ancora di più, facendola sentire “incompresa”, “sola” e “giudicata” (come fanno notare Anna Gazzera ed Eleonora Sampò), anche perché le storie raccontate dalla TV non presentano personaggi “grassi”, e “se i corpi non vengono rappresentati nella loro pluralità, non possono far altro che scomparire” (p. 69).
    A Balena rimane solo l’affetto della madre (“lei era la mia unica vera amica”, p. 66), ma (come fa notare Angelica Gattino) entrambe scelgono di tenere per sé i propri dolorosi segreti, per non far soffrire l’altra, e così, per Balena, alla sofferenza si aggiunge la solitudine, rappresentata efficacemente dai tristi pomeriggi domestici davanti alla TV:
    “Tornata da scuola me ne sto seduta sul divano, il pacchetto stretto tra le cosce, il sacchetto è così alto che abbassando di poco il mento potrei mangiarci direttamente dentro. Guardo la televisione, su Canale 5 va in onda la striscia pomeridiana del Grande Fratello.” (p. 95).
    Il “pacchetto” è quello delle patatine: “Le Amica Chips sono la mia marca di patatine preferita, già per la confezione sottile e trasparente che mostra l’unto e dà un’anteprima visiva dell’intensità del sapore. Migliaia di briciole intrise d’olio provocano, sin dagli scaffali del supermercato, un’acquolina morbosa” (p. 95).
    Le Amica Chips sono le uniche “amiche” rimaste a Balena, le uniche trasparenti, le uniche che non tradiscono la promessa di dare sapore alla sua vita vuota.
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    Ringrazio Paola Veneri, mia collega insegnante di Matematica, per il suo commento alla (doppia!) lettura di “Balena”, ma soprattutto per la sua riflessione conclusiva, che contiene parole come “società”, “omologare”, “modelli preconfezionati”, “adulti consapevoli”: esse mostrano come da una lettura condivisa possano nascere spunti per riflessioni critiche significative, che entrano di diritto in quell’ambito formativo chiamato “Educazione civica”, che in questo caso non viene impartita dalla cattedra, ma prende forma a poco a poco, con la libera partecipazione di Lettrici e Lettori, giovani e adulti, che collaborano con l’autrice nella costruzione del significato di un libro che li ha profondamente coinvolti.
    Grazie a tutte e a tutti coloro che, partecipando, rendono possibile questa bella esperienza!
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    Come preannunciato nel mio saluto ad Angelica, desidero ritornare sul suo commento, che contiene una frase interessante: “Per Giulia, credo, una parte importante di questo processo di riappropriazione di sé è stata la scoperta, o meglio la riscoperta, della lettura. (Balena guardava la Tv, Giulia vuole "leggere, per sempre.")”. Condivido l’osservazione di Angelica, e amplio un po’ la citazione da lei proposta (p. 139):

    “La mia fame si era allargata e, in ritardo sulle aspettative di mia madre, cominciavo a capire che cosa avrei voluto fare nella vita: leggere, per sempre. Frequentavo Lettere, scrivevo racconti scadenti, tentavo concorsi, andavo alle presentazioni degli autori di cui avevo letto almeno un libro”

    Sicuramente, come rileva Angelica, la riscoperta della lettura è un momento importante del “processo di riappropriazione di sé”, ma subito dopo Giulia aggiunge “scrivevo racconti scadenti”: lettura e scrittura sono il nuovo “cibo” con cui ella nutre la sua “fame” che non è scomparsa, ma si è allargata. Un amico psicologo che ha letto “Balena” mi ha fatto notare che questo passaggio è fondamentale nella vita della protagonista: mentre Balena consumava cibo e TV, Giulia crea scrittura, cioè passa da una fruizione passiva ad un’azione attiva, creativa, che genera desiderio di vita, in lei e poi nel lettore. La sua creazione, il libro che noi leggiamo, è il racconto lucido, schietto, coraggioso (gli aggettivi sono vostri) del suo doloroso percorso di formazione, e forse scrivendone l’autrice-protagonista ha finalmente oggettivato la propria sofferenza, liberandosene.
    Angelica, parlando della lettura, ha precisato che si tratta di una “riscoperta”; forse questo vale anche per la scrittura: Giulia la ri-scopre da studentessa universitaria, perché la sua attitudine alla scrittura si è manifestata molto tempo prima, nel momento tragico del funerale del padre, durante il quale una zia legge in chiesa una lettera composta dalla bambina in ricordo del papà. Giulia interpreta il silenzio del pubblico come indice di insuccesso e scappa fuori dalla chiesa, pensando a ciò che sarebbe successo se il padre fosse stato presente:
    “Mio padre avrebbe sistemato il testo, poi avrebbe ascoltato mentre zia leggeva e sarebbe salito in piedi sulle panche per applaudire, non prima però di avermi spiegato ancora come essere più precisa e meno prolissa nella frasi” (p. 43).
    Il padre di Giulia è un giornalista, molto esigente nei confronti della figlia per quanto riguarda la cura del lessico e dello stile: quando, scomparsa apparentemente Balena, Giulia riscoprirà la sua attitudine alla scrittura, forse avrà trovato un altro modo per dire a suo padre “Vieni qui, c’è posto per due” (p. 103).
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    Rileggendo i vostri commenti, mi accorgo che Giulia Muscatelli ha saputo trovare le parole e i toni giusti per raccontare la propria esperienza suscitando l’empatia delle Lettrici e dei Lettori giovani, anzi, come hanno scritto Elisa Lubatti e Melissa Vercelli, ha saputo dare voce all’oscuro groviglio emotivo di “tutte quelle persone che non si sono ritrovate nel loro corpo e che avrebbero voluto essere altrove”.
    Molte di voi hanno condiviso emozioni e riflessioni sul tema del corpo: il corpo che comunica (Irene e Matilde), il corpo giudicato (Carlotta, nel suo secondo post, e Cecilia) che diventa un “problema” e fa sentire “inadeguati”, perché lo sguardo degli altri induce a sentirsi così: lo hanno detto Cecilia, Irene, Matilde, Danila, Chiara e Jacopo.
    Irene e Lucia, poi, colgono bene l’imprevedibile reazione di Giulia, una volta superato il disturbo alimentare e scopertasi capace di sedurre col proprio corpo: non solo non cercherà di cancellare il soprannome di Balena dalla propria vita, ma “imparerà […] pian piano ad accettarlo, come ha intenzione di accettare se stessa in qualunque corpo” (Lucia), e quando gli uomini le esprimeranno il loro apprezzamento, sentirà comunque che “complimentandola, fanno un torto a Balena, che è ancora parte di lei” (Irene).
    Tra le reazioni della protagonista, mi ha colpito il suo consapevole rifiuto di vendicarsi contro chi le ha fatto del male, dimostrando così equilibrio e maturità, come ha fatto notare Melissa Arese. Giulia, questa giovane donna che da bambina è stata ferita dal giudizio degli altri, non solo non ha trasformato il proprio dolore in rancore, ma ha imparato a gioire intimamente, constatando che le cause della sua sofferenza oggi stanno regredendo:

    “Ciò che davvero non mi fa più stare male sono le giovani donne di oggi, la loro fiera consapevolezza quando camminano per strada, i loro corpi che si mostrano liberi. Ho fallito io, ma sapere che loro ce la possono fare a oltrepassare quello che io non sono mai stata in grado neppure di arginare, sapere che il fallimento potrebbe essere solo mio, personale, e non per forza anche della nuova generazione di adolescenti, mi fa sentire in pace” (p. 143)
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    Sto rileggendo con calma i vostri post, che rivelano accuratezza di lettura e profondità di riflessione: grazie per averli condivisi!

    Da parte mia, vorrei evidenziare un tema centrale del racconto, che mi sta particolarmente a cuore: la relazione tra Giulia e suo padre. Diverse lettrici, fin da ieri, ne hanno dimostrato la profondità e la complessità: Sofia ne ha rilevato l’amore e la complicità, che si traducono in vuoto incolmabile dopo la sua morte, il quale sarà causa (dice Miriam) della dolorosa metamorfosi della figlia. Giulia Lasagna e Irene sottolineano la complessa personalità del padre, con le sue luci e le sue (inspiegabili) ombre, ben sintetizzate dalla mia collega Laura, che parla di un padre “amato e temuto”, anche nelle banali situazioni quotidiane, che perciò possono diventare drammatiche:
    “Bere è il primo gesto della giornata, appoggio le labbra sul collo della bottiglia e lascio che l’acqua mi scivoli in gola, trattenendo il respiro. Ma a volte sono distratta e mi dimentico di lui nell’altra stanza, la plastica si storpia con la mancanza d’aria, e allora mi sforzo di staccare la bocca senza che, tornando alla sua forma, la bottiglia faccia rumore. Spesso fallisco, e allora mio padre urla” (p. 20).

    La mia collega Valentina (nel suo post di ieri) ha accostato in modo suggestivo due citazioni sulle mani del padre, che dicono molto sull’identificazione di Giulia con la figura paterna e sul ruolo salvifico che il padre esercita su di lei, pur nell’assenza. Questo commento mi ha riportato alla mente le pagine forse più famose della “Coscienza di Zeno”, di Svevo. Il protagonista, Zeno Cosini, ha col padre un rapporto difficile, contemporaneamente di conflitto e identificazione. Il padre, dal canto suo, considera il figlio un inetto, e mentre quest’ultimo lo assiste sul letto di morte, con un gesto forse inconsulto, lo colpisce al viso con uno schiaffo, proprio prima di spirare. A lungo Zeno sarà perseguitato dal dubbio e dal senso di colpa: il padre avrà avuto davvero un’intenzione punitiva nei suoi confronti? Ecco come Zeno, il giorno dopo, descrive il cadavere del padre: “La morte aveva già irrigidito quel corpo che giaceva superbo e minaccioso. Le sue mani grandi, potenti, ben formate, erano livide, ma giacevano con tanta naturalezza che parevano pronte ad afferrare e punire. Non volli, non seppi più rivederlo”.
    Il corpo imponente e ancora capace di incutere timore, e soprattutto le grandi mani, ricordano il padre di Giulia, ma su quest’ultima, come giustamente sottolinea Valentina, esse avranno l’effetto opposto: “sono grandi mani tese che riportano in vita, capaci di salvare dalla morte, di risollevare dall’abisso in cui si può sprofondare”.
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    Sono entrato qualche minuto fa sul forum per continuare a leggere i vostri interventi, e ho trovato il post di Angelica…ritornerò appena possibile sul suo commento al libro, in particolare su una frase, ma voglio subito salutarla e presentarvela! Avrete capito che si tratta di una ex anciniana… aggiungo che frequenta il quarto anno di Medicina, e ci ha scritto dal Portogallo…
    Una vostra compagna “più grande”, insomma, che io ringrazio per quello che vi ha appena confidato (e che mi ha commosso) sulla sua esperienza di Lettrice e sul valore che i libri hanno avuto (ed hanno, ve lo dico per certo!) nella sua vita.
    Grazie Angelica!
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    Ringrazio Matilde Viola per il suo commento al libro e per il consiglio di lettura: Lettrici e Lettori creativi amano condividere questi suggerimenti, perché un libro ne richiama un altro e un altro ancora, in una sequenza che s’intreccia con la nostra vita.
    Suggerisco anch’io due titoli della stessa autrice, Chiara Gamberale, che ha esordito circa vent’anni fa con il romanzo “Una vita sottile”. Anche questo, come “Balena”, è un racconto autobiografico: Chiara, un’adolescente in cerca della propria identità, passerà attraverso la dolorosa esperienza dei disturbi alimentari. Il soggetto del libro ha ispirato un film per la TV, con lo stesso titolo.
    Il secondo suggerimento di lettura è “Il grembo paterno”: come si intuisce fin dal titolo, nel romanzo (oltre al tema del disturbo alimentare) è presente il complesso rapporto col padre, che Adele, la protagonista ormai adulta e madre, analizza ripercorrendo i ricordi della propria infanzia: l’accostamento al tema centrale di “Balena” è ancora più evidente.
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    Ringrazio la mia collega Laura, che con il suo intervento riscatta la categoria degli insegnanti di Matematica, cui appartiene il professor Niba, forse l’unico personaggio veramente negativo di tutta la storia.
    A parte gli scherzi, però, la partecipazione della prof Arese dimostra che la lettura non è un’attività che riguarda una particolare disciplina, o un ristretto gruppo di esse, ma è trasversale, così come dovrebbe esserlo la sensibilità.
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    Ringrazio Simone, mio collega docente di Lettere, con cui quest’anno condivido il piacere di coordinare il Circolo dei Lettori creativi. La parte conclusiva del suo commento rimanda al “come” l’autrice racconti la sua storia, aspetto sul quale si sono già soffermate diverse Lettrici: Elisa trova il suo stile “naturale”, Melissa ne sottolinea la “lucidità” e Matilde lo definisce “realistico e schietto”. Nadeesha Uyangoda, che ha recensito “Balena” sulla rivista “Internazionale”, ha scritto che “Il tono della narrazione tende a essere neutro, quasi come se l’autrice, nonostante la scrittura in prima persona, volesse esporre i fatti, guardando la storia da una certa distanza. S’intravede comunque il resoconto sincero, a tratti in modo addirittura spietato, di come Giulia abbia abitato il suo corpo”.
    Eppure, nonostante questa “distanza”, l’autrice riesce miracolosamente a trasmetterci, come ha ben rilevato la mia collega Valentina, la forza dei legami affettivi, soprattutto quello col padre, rappresentati con intensa delicatezza.
    Giulia Muscatelli, come ha scritto Elisa, è stata capace di raccontare “lasciando non solo parole ma qualcosa di più”.
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    I commenti di Carlotta e di Chiara (la mia collega, docente di Lettere) evidenziano il tema del potere che la parola e lo sguardo degli altri possono avere su ciascuno di noi: possono spingerci a migliorare, dandoci fiducia e sicurezza, ma anche precipitarci in basso, soprattutto se siamo in un momento di difficoltà o abbiamo un carattere ancora fragile. Qualche pagina prima della frase citata “Più loro mi chiamano Balena, più io lo divento”, Giulia mette in luce il proprio punto debole, a causa del quale diventerà facile preda di Anna:

    “Io sono bravissima ad obbedire. Desidero ricevere degli ordini, una strada da seguire. Anna si sbaglia: non sono una balena, ma sono un cane […] Comunque ha fiutato giusto: ha sentito la mia inclinazione all’obbedienza […] e così un pomeriggio mi chiede di rubare un braccialetto per dimostrarle che le voglio bene. Io non le voglio bene, ma credo di volergliene. La amo, ma solo perché mi fa paura, proprio come i cani legati alla catena e picchiati, che rimangono sempre fedeli nel cortile del padrone, fino a quando un giorno, quell’unica volta in cui vengono lasciati liberi, scappano senza tornare mai più” (p. 71)
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