"Cambiare l'acqua ai fiori"

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    Come abbiamo già avuto modo di rilevare nel corso del forum precedente, il caso non esiste…
    Ed ecco che Elisa Gallo, Francesca Sardo e Benedetta scrivono i loro commenti quasi in sequenza, sullo stesso tema, quello della morte. Argomento scomodo, delicato, di cui – come avete rilevato – non si parla volentieri, eppure – dobbiamo ammetterlo – importante per tutti, dal momento che si tratta di un’esperienza inevitabile.
    Elisa e Francesca mettono in evidenza il lato crudele e tragico del destino umano, e non si può dar loro torto, ma il pregio di questo libro – e anche questo l’avete già rilevato – è invece quello di mostrarci, nonostante tutto, una possibile strada verso la rinascita, dopo la tragedia. Viene evidenziata molto bene dalla citazione riportata da Benedetta, che ci mostra come il ciclo della Natura (cioè della Vita) sia eterno, e se l’uomo ne comprende il senso e ne accetta le regole – seminare, coltivare, raccogliere, riposare e poi rinascere – possa raggiungere la serenità.
    Poiché il giardinaggio è il mio amatissimo passatempo, mi permetto di rimanere ancora un po’ in argomento, citando una frase di Sasha, che racconta il suo primo tentativo (fallimentare) di coltivare l’orto:

    “Naturalmente non è cresciuto niente. Non avevo capito che bisognava passare le giornate nell’orto perché la magia si operasse. Non avevo capito che ogni giorno bisogna togliere le erbacce che crescono accanto agli ortaggi, altrimenti si bevono tutta l’acqua, si prendono la vita” (p. 231)

    Io credo che la frase significhi che la vita va coltivata ogni giorno perché non appassisca e non muoia prima del tempo, cercando di allontanare il male e curare il bene, perché essa possa fruttificare.
    Vorrei concludere con un’altra citazione, che contraddice la sfumatura pessimistica del post di Francesca; si trova alla fine di due pagine tristi (311 e 312) in cui mamma Violette elenca tutto ciò che non potrà più fare con Lèonine, ma sentite come le conclude:

    “Crescerai in un altro modo nell’amore che avrò sempre per te. Crescerai altrove, nell’orto di Sasha, nel volo di un uccello, con l’alba e col tramonto, in una ragazza che incontrerò per caso, nel fogliame di un albero, nella preghiera di una donna, nelle lacrime di un uomo, nella luce di una candela. Rinascerai un giorno sotto forma di fiore o di maschietto con un’altra mamma, sarai ovunque i miei occhi si poseranno. Dove sarà il mio cuore, il tuo continuerà a battere” (p. 312)

    Davvero il caso non esiste!
    Mentre stavo per inviare il mio commento, ho visto la bella citazione riportata da Martina, che sottolinea il potere dei ricordi, che ci permettono di rimanere “in contatto con le persone che non ci sono più, sentendole dentro di noi”.
    Tempismo perfetto, grazie!

    Edited by Gianfranco Bosio - 13/2/2022, 17:16
     
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    Mi piacerebbe ampliare lo spunto che ha dato Elisa Abalintoaie sulle famiglie di Violette.
    La vita non è stata sicuramente generosa con Violette in questo senso, abbandonata da piccola non ha mai trovato una famiglia che la accogliesse ed anche il tentativo di crearne una sua ha avuto, purtroppo, esiti ancora più tristi. Violette, però, pur vivendo da sola, non è sola perché nonostante tutto ha avuto il coraggio, la forza e la capacità (o meglio serendipità, come ha scritto giustamente il prof Bosio) di accogliere nella sua vita persone nuove. Questi incontri saranno importantissimi per lei, a partire da Celia, un personaggio che mi è stato molto a cuore, perché è stata la prima vera amica di Violette, ed ha avuto il grande merito di portare nella sua vita l’allegria, la spensieratezza, la gioia dei piccoli momenti quotidiani, delle lunghe chiacchierate, delle vacanze e dei bagni nel mare. Poi Sasha, altro personaggio a cui mi sono affezionata e che è stato fondamentale per Violette, non solo per la sua vicinanza nel momento più difficile, ma per aver donato a Violette la sua passione per il giardinaggio ed averle tramandato tutti i segreti che negli anni aveva imparato. Questo è stato un gesto di grande intelligenza emotiva: Sasha conosce bene l’importanza di avere anche qualcosa, e non solo qualcuno, a cui rimanere aggrappati, che ci tenga compagnia nella quotidianità; conosce il potere rigenerante che può avere il contatto con la natura e sa benissimo che le passioni trasmesse a noi da persone care hanno anche un grande valore affettivo. E infine Julien, colui che ha permesso a Violette, come racconta lei stessa, di vivere finalmente quell’adolescenza e quella giovinezza che le erano state negate e di provare il vero amore.
    Tutti questi personaggi sono la vera famiglia di Violette ed il loro legame è tanto più speciale perché questa non è una famiglia di sangue (e Philippe ci dimostra che il sangue non basta, per essere padri e madri) ma è una famiglia di “scelta”. È la rete di sicurezza di Violette, fatta da persone che veramente la amano, la sostengono, l’aiutano e fanno sí che lei senta tutta la loro presenza e la loro vicinanza, anche quando lontani.
    “Ho la sensazione che Sasha non sia lontano, che abbia dato istruzioni a Julien perché trapianti polloni di me stessa in ognuno dei miei organi vitali” (pag.341)
     
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    "Cambiare l'acqua ai fiori" è un romanzo molto appassionante la cui storia gira intorno alla protagonista: Violette. Con il procedere della lettura si susseguiranno vari intrecci tra presente e passato, e tra vite dei vari personaggi.
    All'inzio di ogni capitolo è presente una epigrafe funeraria che ci spiega come in fondo le parole che scegliamo per raccontare chi erano i nostri cari sono sempre troppo poche, non bastano, ci lasciano dei profondi dubbi.
    Infatti siamo quello che non raccontiamo a nessuno, anche alle persone più care.
    In conclusione si può capire come il romanzo si concentra sulle parole, dette o silenziose, che riescono a catturare il lettore.
     
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    14 Febbraio 2022


    Peynet_7

    LEGGERE FA INNAMORARE!


    Non credo sia fuori luogo celebrare S. Valentino su questo forum, se a p. 411 del nostro romanzo si legge questo aforisma:
    “Siamo venuti qui a cercare, cercare qualcosa o qualcuno. A cercare un amore più forte della morte”.
    L’amore può superare la morte? Forse sì, se si ha “Il coraggio di amare” (p. 343) senza riserve, come ha saputo fare Violette, che per tutta la vita ha colmato con l’amore il vuoto dell’abbandono…

    * * *


    Oltre ai classici “fidanzatini” di Peynet, ecco due suggerimenti di lettura, il primo dei quali dimostra proprio che “Leggere fa innamorare”; il secondo, che l’amore supera la morte.

    I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore: il libro di Calvino più strano in assoluto… Un Lettore ha comprato l’ultimo libro di Calvino, intitolato Se una notte d’inverno un viaggiatore, ma si accorge che, per un difetto di impaginazione, il libro non è completo. Recatosi in libreria per farselo sostituire, incontra una Lettrice, che è lì per lo stesso motivo. A tutti e due viene fornito lo stesso libro sostitutivo, ma anche stavolta…


    E. Bronte, Cime tempestose: un classico della letteratura inglese, racconta la storia di una passione amorosa devastante tra Heathcliff e Catherine. Il romanzo, ambientato nel paesaggio della brughiera inglese di inizio Ottocento, sviluppa il tipico tema romantico di Amore / Morte, non senza incursioni nel romanzo gotico: all’inizio del romanzo, il personaggio che ricopre il ruolo di narratore viene ospitato nella casa di Heathcliff, ma in piena notte viene svegliato dallo spettro di una giovane donna che bussa ai vetri della finestra per poter entrare…

    Edited by Gianfranco Bosio - 14/2/2022, 14:18
     
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    Ringrazio Angelica per aver ripreso e approfondito una tematica significativa come quella della famiglia. In questo romanzo possiamo osservare le dinamiche di diverse famiglie, a partire dal “livello zero” dell’assenza della famiglia d’origine di Violette; poi ci sarà la famiglia costruita dalla protagonista, in cui nascerà Léonine, e poi, via via, altre ancora. Sembra che questo romanzo intenda dimostrare la fondatezza del famoso incipit di Anna Karenina: “Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo”.
    Per fortuna, come hanno detto le nostre Lettrici, Violette riuscirà a costruire intorno a sé, con la sua bontà, una famiglia elettiva, una “rete di sicurezza” (bella immagine!) che la proteggerà dal vuoto dell’isolamento e dell’indifferenza.
    Sono contento che, in questo contesto, Angelica abbia valorizzato la figura di Sasha, che è piaciuta molto anche a me. E’ la stessa Violette che lucidamente coglie l’importanza di questa figura maschile apparentemente secondaria, ma in realtà vero “motore” della rinascita della protagonista:

    “Una sera a cena parlavamo di John Irving, delle Regole della casa del sidro. Ho detto a Sasha che era stato il mio personale dottor Larch, il mio padre putativo. Mi ha risposto che presto mi avrebbe lasciato la mano, che mi sentiva quasi pronta, che anche i padri putativi dovevano lasciare che i figli procedessero da soli, che una di quelle mattine non sarebbe venuto a casa col pane fresco e il Journal de Saone-et-Loire” (p. 427)

    Torno ancora un momento sulla famiglia che intuiamo essere il futuro di Violette, quella che la protagonista costruirà con Julien e Nathan. La citazione è un po’ lunga, ma vale la pena: è qui la rinascita di Violette, mentre si bagna nel mare di Marsiglia, non più sola:

    “Nuoto sott’acqua chiudendo gli occhi. Léonine è già qui, è sempre qui, non si è mai mossa da qui perché la sua presenza eterea è in me. Respiro la sua pelle calda e salata come quando si sdraiava su di me per fare una siesta sotto l’ombrellone, le sue mani che mi correvano sulla schiena come piccole marionette. Il mio amore” (p. 469)
    Ma qualcosa di imprevedibile sta per accadere…
    “Metto la testa sott’acqua, nuoto a occhi chiusi, mi piace indovinare, ascoltare il mare sotto di me.
    Sento una presenza. Un’altra presenza. Qualcuno mi sfiora, mi prende i fianchi, mi posa una mano sulla pancia, si incolla dietro di me, fa gli stessi gesti che faccio io, è una danza, quasi un valzer. Sento il suo cuore battere contro la mia schiena, lascio fare, ho capito. E’ il trapianto di un amore, l’innesto del cuore di un altro nel mio. Sento la sua bocca sul collo, i suoi capelli sulla schiena, le sue mani che passeggiano su di me a passi leggeri e delicati. Quanto l’ho sperato senza crederci, senza credere in lui!” (…)
    E riemergono…
    “Siamo.
    Noi.
    Risate.
    Un bambino.
    Tre.
    Un’altra mano mi prende il braccio e si attacca a me. E’ come quella di Léonine, piccola, nervosa e calda. Spero di non stare sognando, di star vivendo. Il bambino si getta tra le mie braccia, mi deposita baci bagnati sulla fronte e nei capelli. Si butta indietro lanciando gridolini di gioia. “Nathan!” (p. 470)

    Ricordo che un nostro Lettore, Francesco, qualche giorno fa rilevava come il romanzo oscilli tra presente e passato, lasciando poco spazio al futuro. Ecco, io credo che questa scena rappresenti il futuro di Violette, e il fatto che sia espressa al tempo presente serve soltanto per darci la certezza che il futuro di Violette è già qui, e si sta realizzando.
     
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    Cambiare l’acqua ai fiori è un libro che mi ha fatto riflettere molto sul rapporto che esiste tra i genitori e i figlio e con il passato. << Non aveva capito niente perché era stato un cattivo padre, ma per la prima volta sarebbe diventato un vero papà, là dove si sarebbero rivisti>>, Philippe Toussaint è un figura particolarmente emblematica del libro, in quanto sarà colui che darà a Violette la cosa da lei più sperata, ossia la famiglia, ma poi non se ne interessò mai particolarmente. Vediamo che qualcosa è veramente cambiato in Philippe soltanto inseguito alla morte di Leonine, che lo ferì molto; la morte della figlia e la verità rivelata dai genitori furono ciò che lo uccise. Accanto alle numerose tragedie possiamo osservare anche numerose storie romantiche, tra cui quella della protagonista Violette prima con Sasha e poi con Julien, che vanno ad alleggerire quasi la trama, ossia l’uccisione della nipote da parte del nonno.

    Martina Olivero 4B Scientifico
     
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    “Cambiare l’acqua ai fiori” è un romanzo che narra la storia di Violette, alternando episodi passati, recenti, tristi e sereni. E come queste emozioni sono messe in contrapposizione, allo stesso modo viene descritto il personaggio. Violette è una giovane guardiana di un cimitero, di cui si prende sempre cura in modo molto attento. Che, come nasconde i suoi vestiti colorati sotto ad una vestaglia scura, nasconde alcune sue mancanze, come sotto ad un grande mantello. Nella sua vita non ha mai ricevuto tanto amore, da piccola si trasferì di famiglia in famiglia, poi si sposò con un uomo assente e distaccato. Una frase secondo me significativa è “l’assenza non si sente quando non si è vuoti dentro”; infatti per la protagonista la lontananza del marito non era un particolare peso, perché c’era la figlia a “riempirla”, per lei sopportava Philippe Toussaint, nonostante tra i due non ci fossero sentimenti, e persino i suoceri. Nel momento in cui però le venne portata via da un incendio, tutto iniziò a crollare, e ora il vuoto lo sentiva, ma grazie alle persone che ha conosciuto ha iniziato pian piano a rimarginare la sua più grande ferita.
     
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    Leggendo il commento di Valeria sulle epigrafi funerarie con cui si ricordano i defunti, la mente è tornata ai Sepolcri di Foscolo, ai versi 35-40, in cui il poeta indica, per così dire, le condizioni necessarie affinché si stabilisca tra vivi e defunti quella “corrispondenza di amorosi sensi”, cioè quel ricordo affettuoso che permette la “sopravvivenza” di chi non c’è più. Ebbene, tra queste condizioni c’è proprio quella che ci sia una tomba che protegga il defunto, un “sasso” (una lapide) che ne “serbi il nome”, e una pianta “amica” che, con la sua ombra profumata, dia conforto alle spoglie.
    Un’epigrafe: pochissime parole per raccontare la vita di una persona, della quale per di più – dice Valeria – forse non conosciamo neppure tutto, anche se le siamo vissuti accanto: la storia d’amore segreta di Irène Fayolle sembra dimostrare proprio questo, al punto che neppure suo figlio Julien sa spiegarsi chi sia quello “sconosciuto con cui ha scelto di riposare per l’eternità” (p. 97). Anche Violette nasconde le sue segrete ferite sotto una vestaglia scura, come ci ricorda Elena…Davvero siamo “quello che non raccontiamo a nessuno”?
    Ha ragione Martina Olivero, a dire che questo libro fa “riflettere molto sul rapporto che esiste tra i genitori e i figli e con il passato”: forse ogni genitore (e parlo in primo luogo per me) tiene prudentemente per sé qualche esperienza del passato, nel segreto timore che rivelandola ai figli possa venir meno la propria immagine autorevole, la solidità dei valori che ha cercato di trasmettere, insomma, il proprio ruolo di educatore. Forse, invece, se trovassimo il coraggio di rivelare sinceramente le nostre debolezze, le nostre fragilità ai figli, ne conquisteremmo la fiducia e guadagneremmo in credibilità e umanità.
     
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  9. Anisa Ceni
     
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    "Sarai per sempre tutti i miei amori, il primo, il secondo, il decimo e l’ultimo. Sarai per sempre i miei ricordi più belli, le mie grandi speranze"

    Se dovessi descrivere il libro con una frase sceglierei questa: è stata una lettura travolgente, con esempi di amore che riescono a sopravvivere nonostante le avversità, il tempo e la tutta la vita che passa.
    La storia che più mi ha colpito è stata quella di Gabriel e Irene, perché, seppur una storia complicata e ingiusta nei confronti delle rispettive famiglie, riesce a far emergere la felicità che solo l'amore è in grado di far provare.


    Anisa Ceni,3 A Scienze Umane.
     
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    Ciò che mi ha colpito maggiormente di "Cambiare l'acqua ai fiori" è la visione sulla morte che si sviluppa lungo tutta narrazione. Essa viene trattata in modo delicato e profondo, nonostante nel racconto vengano affrontati gli effetti drammatici che essa comporta sulla vita. Soprattutto quando riguarda una persona a noi cara, la morte ingloba e relativizza tutto il resto. Violette riesce ad affrontarla in un modo che mi ha fatto davvero riflettere: attraverso il suo lavoro da guardiana del cimitero, la protagonista continua a mantenere vivo il ricordo della figlia, non scappando dal dolore che ne consegue, ma ricominciando a vivere, proprio in quei posti in cui vive anche la sua bambina. Questo romanzo ha per me la capacità di commuovere e arrivare dritto al cuore, perché riesce a comunicare con intensità ciò che l’amore è davvero.
    “Il giorno in cui mi sono chinata a raccogliere i pomodori che avevo piantato sei mesi prima, Léonine ricopriva da un pezzo l’orto con la sua presenza, come se avesse portato il Mediterraneo fino al giardino del cimitero in cui era sepolta. Quel giorno ho capito che era all’interno di ogni miracolo che la terra produceva.”
     
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    Nella lettura "Cambiare l'acqua ai fiori" di Valérie Perrin ho avuto la possibilità di cogliere la destrezza dell'autrice nel descrivere i sentimenti più profondi dei suoi personaggi. Mi ha toccato in modo particolare la sua abilità, in quanto considero che sia stato proprio questo fattore a coinvolgermi nella lettura e a rendere il testo scorrevole. La Perrin fa emergere i suoi personaggi piano piano e poco alla volta si impara a conoscerli, ad amarli, o ad odiarli. Un personaggio che ho apprezzato di modo particolare è stato Sasha: un amico che tutti noi vorremmo avere in quanto è una persona empatica ed è sempre in grado di comprendere le situazioni altrui.

    Gasco Valentina 3^B scienze umane.
     
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    Il personaggio di Violette è molto complesso, è una donna che vive ascoltando gli altri, probabilmente per evitare di sentire i tormenti della sua vita. Lei è la guardiana della vita e della morte degli altri, ma non riesce ad esserlo della propria. Alla memoria del vissuto cerca di compensare con la memoria dei dettagli, quelli che annota scrupolosamente su un quaderno, per poi mostrarli a parenti o amici che non sono riusciti ad essere lì, alla funzione di un loro congiunto. Da quel momento in cui compare un poliziotto marsigliese, arrivato per conoscere l’identità dell’uomo accanto a cui sua madre, come ultimo desiderio espresso in uno scritto, ha chiesto di essere sepolta, si passa dall’apparente leggerezza alla drammaticità di alcuni eventi che hanno segnato per sempre la vita di Violette. Scopriremo che, al di là degli amici di oggi, che sono in realtà dei colleghi di lavoro nel piccolo mondo-cimitero di Brancion-en-Chalon, Violette ha un marito, Philippe, una figlia che si chiama Léonine, un’amica cara, il ricordo di una vacanza in Provenza e poco altro, che rimane, della sua vita precedente.
    Ellena Giulia 3B Scienze Umane
     
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    Anisa è stata comprensibilmente colpita dalla storia d’amore tra Gabriel e Irène: certamente è una reazione “complicata”, ma non sono sicuro che possa essere definita “ingiusta nei confronti delle rispettive famiglie”. Penso soprattutto al comportamento di Iréne, quando scopre che il marito Paul è malato di cancro. Ricordate che cosa scrive in proposito nel suo diario?

    “29 maggio 1993. Paul è malato (…) in più ho la sensazione che si sia ammalato per colpa mia, che le mie bugie per vedermi con Gabriel in una camera d’albergo alla fine l’abbiano colpito” (p. 370)
    “7 giugno 1993. Stamattina Gabriel mi ha telefonato al vivaio, era tutto contento (…) vuole vedermi, passare ogni notte con me. Dice che non fa che pensarmi. Gli ho risposto che era impossibile, che non potevo lasciare Paul da solo.
    Mi ha riattaccato in faccia.
    Ho preso dal bancone la palla con la neve e l’ho spaccata contro il muro con tutte le mie forze, urlando.” (p. 371)
    6 dicembre 1993. Ho telefonato a Gabriel per informarlo dell’operazione, della chemioterapia. Gli ho detto che per il momento non ci saremmo più visti.
    “Capisco” ha risposto. E ha riattaccato.” (p. 371)

    Mi pare che nel valutare il comportamento di Irène si debba tenere conto di questo sentimento profondo verso il marito: se non possiamo più chiamarlo amore, dobbiamo chiamarlo almeno affetto, o amicizia, o rispetto. In ogni caso, è un fatto che la povera Irène si senta in colpa per essersi abbandonata alla passione, e per me questo basta per non accusarla di cattivo comportamento nei confronti della famiglia. Quando, dopo le prime cure, la malattia di Paul sembrerà regredire, andrà a festeggiare l’evento a casa del figlio Julien…

    Si potrebbe dire, forse, che in generale nel romanzo la famiglia venga rispettata formalmente più che nella sostanza, come se, in un certo senso, si volesse salvare l’apparenza dell’istituzione, anche nei casi in cui la si ritenga insoddisfacente o inadeguata. Cito due casi; il primo: quando l’amica di Violette, Celia, le suggerisce di lasciare il marito che la ignora, lei risponde così:
    “Ho risposto che a me avevano tolto i genitori, e che non avrei mai privato Lèonine del padre. Sebbene Philippe Tuissaint fosse un padre per modo di dire, era pur sempre un padre” (p. 149)
    Il secondo riguarda il personaggio di Sasha, in particolare il suo passato “segreto” di omosessuale che sceglie di nascondersi dietro l’apparenza di un matrimonio “normale”:
    “Quand’ero giovane ho voluto fare come tutti, mi sono sposato. E’ una bella cretinata fare come tutti, un’idea stupida. Le buone maniere, le apparenze e i preconcetti sono roba che uccide.” (p. 306). Eppure Sasha “amerà” la moglie rispettandola, e amerà i figli che avrà da lei (“Sono un padre bravissimo sai?" p. 308).
    Come condannare chi rinuncia ai propri sentimenti o ne rimanda a tempo indeterminato la realizzazione, per rispetto e “amore” di chi gli vive accanto?
     
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    Violette fa la guardiana del cimitero di Brancion-en-Chalon, in Borgogna. Attraverso di lei conosciamo la vita e la morte di personaggi che entrano ed escono dalla sua e dalla nostra esistenza. Violette appare come un fante: una donna che transita tra due mondi, sempre in equilibrio tra le vicende della “vita vera” e quella della “vita sospesa”, che si respira nel cimitero. Questa storia mette continuamente in contatto con le storie che ci raccontiamo per sopravvivere e quelle che ci tengono ancorate come una zavorra al mondo reale. Violette in realtà è anche una passeggera che transita da un seme all’altro, come nelle carte. E noi siamo passeggeri con lei. Ciò che infastidisce è ciò che la rende profonda, il suo galleggiare sull’esistenza.
    Violette asseconda la vita, accarezza la morte. La sua è una rivoluzione silenziosa, è la rivoluzione della gentilezza, della cura delle piccole cose, dell’insignificante. “Ero piena di silenzi che urlavano dentro di me, mi svegliavano la notte, silenzi che mi hanno fatto ingrassare, dimagrire, invecchiare, piangere, dormire tutto il giorno, bere come una spugna, sbattere la testa contro porte e muri, ma sono sopravvissuta”. La scelta fatta dall’autrice di dare alla protagonista uno sguardo consapevole, maturo, mi ha fatto amare subito Violette. Mi ha colpito la capacità introspettiva di questo personaggio. Ciò che ha reso sin da subito Violette profonda è la sua presenza silenziosa. Violette è lo spazio che abita: una stanza piena di lettere e squarci nascosti, vestiti celati. Una ragazza che ha perso se stessa, trascinata da un affetto all’altro; una donna che ha accolto il nero e non dimentica il colore: indossa l’estate (abiti sgargianti) sotto l’inverno (abiti scuri).
    Quando si chiude il libro resta la mancanza di Violette, di quell’amica con cui hai stabilito l’appuntamento fisso del giorno, il momento che dicevi: “Chissà cosa mi racconterà oggi, la mia amica Violette”. E quando un personaggio manca così ci ha raccontato una storia che vale la pena conoscere. Cambiare l’acqua ai fiori, è prima di tutto annotazione per se stessa, perché Violette è il primo ed unico fiore di cui deve lei stessa imparare a prendersi cura.
    Le storie si accavallano, si sovrappongono e s’intrecciano facendo un grosso nodo sulla maternità. Maternità che senza una paternità solida, presente, forte, in grado di recidere il cordone ombelicale tra madri e figli può fare danni molto ingenti.
    Cambiare l’acqua ai fiori, a dispetto della sua ambientazione, è un inno alla vita e alla speranza che un futuro è sempre possibile malgrado la vita ci possa mettere di fronte ad eventi in grado di annientarci. Questo libro ci fa capire quanto sia importante non soffermarci mai alla prima impressione che abbiamo alla conoscenza di una persona ma di andare al di là della maschera che ognuno di noi indossa nella vita quotidiana per proteggerci e nascondere agli altri i nostri veri sentimenti.
    Questo romanzo ci aiuta ad abbandonare il brutto vizio, che molti di noi hanno, di dover collocare ogni persona che incontriamo nella nostra vita in un particolare cassetto dell’armadio dei nostri pregiudizi e ci insegna ad ascoltare e a capire i rumorosi silenzi con cui parlano i nostri cuori.
    La morte ha un ruolo centrale all’interno di tutte le vicende; anche in quello dei vivi. Questo perché, nonostante la parola “fine”, coloro che furono sono ben in grado di influenzare chi resta nella sua quotidianità. Nel romanzo si ha quasi l’impressione che siano i morti a tenere le redini della vicenda e a guidare le azioni dei protagonisti: solitamente sono i morti a cercare la pace eterna mentre qui sono i vivi che cercano la luce in fondo al tunnel, una via d’uscita per riprendere il controllo sulle proprie esistenze.
    Violette è l’emblema della parola “resilienza”. Orfana, infanzia infelice, un matrimonio fallito e un marito scomparso. Violette avrebbe mille motivi per essere triste, ma “assapora la vita a piccoli sorsi” e trova la felicità nella cura del giardino, in un tè al gelsomino, in un vestito rosa sotto un cappotto grigio.
    In questo frangente, Violette ci ricorda che c’è un modo adulto di affrontare il dolore ed il sacrificio: a denti stretti e rimanendo saldi, senza dimenticare di aggrapparci a tutto ciò che può portarci un po’ di felicità, da un bicchierino di porto, a una gentilezza fra colleghi di lavoro, alle fusa di un gatto, ecc…
    “Cambiare l’acqua ai fiori” è una metafora perfetta di come adattarsi ai mutamenti della vita: “Quando lo facciamo è perché vogliamo che quegli steli durino il più a lungo possibile”.
    Alberti Sara cl. 3^ A.U.
     
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    Il libro Cambiare l’acqua ai fiori di Valérie Perrine presenta un’interessante struttura: ai pensieri e alle azioni della signora Violette si intersecano le vite degli altri personaggi che incontra. È proprio l’organizzazione del romanzo che ha suscitato in me alcune riflessioni a proposito del concetto di empatia e di introspezione; credo infatti che, al di là dell’intreccio che presenta la storia, ognuno di noi abbia incontrato almeno una volta nella vita una persona come Violette che si cura delle sue faccende private, ma allo stesso tempo delle persone che la incontrano. Sulla base di questi pensieri credo che la frase che meglio racchiuda il senso del libro sia «La morte comincia quando nessuno può più sognare di te», perché alla fine noi siamo un fascio di rapporti e relazioni con le altre persone e senza questi legami è come se fossimo «morti».

    Gaia Sestu, classe 4B Scientifico.
     
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