"Il silenzio della collina"

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    Anche a me ha colpito molto il fatto che "tutto quello era accaduto lì, nelle Langhe", proprio nel territorio in cui Domenico è nato e, soprattutto, ho apprezzato la focalizzazione interna di cui Perissinotto fa uso: nel corso della lettura mi sembrava quasi che il senso di colpa, o meglio, di responsabilità, del protagonista si trasferisse su di me. Sottolineo questo sentimento poichè penso che esso, oltre ad essere la prova dell'efficacia di un libro che mira a denunciare una mancanza della nostra società, sia un seme da coltivare con cura. Come ad altre lettrici, infatti, anche a me ha fatto molto riflettere l'indifferenza del paese di fronte agli avvenimenti del 1968 e, di fronte a quell'atteggiamento, mi chiedo se io, se noi avremmo agito diversamente. Vorrei poter rispondere di si, ma la verità è che non ne sono per nulla sicura. Quante volte mi giro dall'altra parte di fronte ad un torto? Quante volte, ancora nel 2021, come umanità tolleriamo discriminazioni e violenze? Quante di queste, ancora, dovranno perpetuarsi perchè noi veniamo scossi dal nostro torpore? Per suscitare il nostro interesse, dovranno esse per forza arrivare a riguardarci direttamente? Di fronte a queste domande e constatazioni, allora, un libro così coinvolgente è prezioso, perchè, chissà, forse potrebbe diventare una scintilla e
    accendere quella miccia dentro di noi...

    Edited by Elisa Canavero - 19/2/2021, 16:41
     
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    Le nostre Lettrici, come si poteva pensare, hanno evidenziato un tema centrale del libro, e cioè il ruolo della donna nella società del Novecento, dalla "Malora" di Fenoglio, al tragico fatto di cronaca di Maria Teresa, ad altri accaduti in Europa e negli Stati Uniti. Io sono rimasto colpito dalla frase che dice la moglie di Genio d'la Brusà, molto anziana ma ancora lucida e tagliente nei suoi giudizi:
    "Ah, questo non lo so. Non mi sono mai immischiata. Sui beni io ci ho sempre lavorato, fino a spaccarmi la schiena, senza mai una servente, ma com' erano arrivati quei beni non era cosa mia". Ancora una volta vediamo una donna usata come strumento da lavoro, ma esclusa dalle decisioni riguardanti il patrimonio familiare.
    Senza contraddire questa immagine della donna, purtroppo storicamente fondata, vorrei consigliare la lettura di un libro sull'argomento, "L'anello forte" di Nuto Revelli, che mette in evidenza una altro aspetto della condizione femminile. E' costituito da interviste a molte donne della provincia cuneese, che hanno vissuto e agito nel periodo della seconda Guerra Mondiale e nel dopoguerra; sono personaggi indimenticabili, di cui Revelli mette bene in luce una caratteristica tipicamente femminile, quella di essere state "anelli forti", cioè elementi di resistenza e resilienza, punti di riferimento familiare e sociale, che hanno impedito, nella nostra terra, la disgregazione sociale.
    Torniamo al libro; vorrei fare una domanda alle Lettrici: Domenico Boschis, tornato sulle Langhe, incontrerà due personaggi femminili, Caterina e Gilda. Come giudichereste il suo comportamento con loro?

    ... ho dimenticato la pagina della citazione: p. 225
     
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    ''E oggi scopro che la stessa porcheria, identica in ogni particolare, era gia' successa qui. [...] magari avrebbero capito tutti che i mostri non stanno solo nei film americani. E invece...il nostro maledetto pudore, la paura di offendere...Il femminicidio: una vittima al giorno, due. una guerra continua, ed e' iniziata qui. Il piu' sordido di tutti i femminicidi, quello di Maria Teresa.'' In questa frase si possono cogliere alcuni degli elementi e dei temi cardine di questo romanzo. In primo luogo la tendenza a dimenticare alcuni fatti scomodi che, nonostante siano avvenuti anche vicino a noi, si tende a nascondere, per poi finire a ritenerli lontani ed estranei, cosi' come il caso del femminicidio e degli abusi sessuali.
     
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    Sono molto contento di sentire una voce maschile intervenire su questo tema che ci ha colpiti: Lorenzo ritorna sul tema scottante dell'indifferenza di fronte alla violenza esercitata su Maria Teresa, come su tante altre donne. E' il lato oscuro e inquietante delle nostre reazioni di fronte al male, e leggendo i vostri commenti sento che molte / molti di noi sono sensibili a questo aspetto, e questo fa ben sperare per quella "evoluzione umana" a cui fa riferimento Sara, pur con qualche perplessità sulla nostra direzione etica attuale ( Grazie, Sara, per il suggerimento di lettura filosofica).
    Oltre all'indifferenza, sottolineata da alcuni di noi, è utile sottolineare la "normalità del male", come ci ricorda Giorgia; su questo argomento suggerirei una lettura che forse vi è già stata segnalata dai vostri insegnanti di Storia e Filosofia: "La banalità del male", di Hannah Arendt, che fa riflettere sull'indifferenza e l'irresponsabilità di chi agisce senza porsi il problema delle conseguenze del proprio agire "normale".
    Grazie anche a chi, come Giada, Elisa, Anna, ha posto l'accento sul ruolo prezioso che può svolgere un libro come questo: aiutarci a non dimenticare e a non voltarci dall'altra parte: "Me lo hai detto tu che Gide ha ripescato dagli archivi il caso della sequestrata di Poitiers dopo trent'anni. Parlarne serve più oggi di allora, serve a non dimenticare, a mettere in guardia contro il ripetersi della storia" (p. 210)
     
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  5. Cagnotti Milena
     
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    è un romanzo che mi ha colpita fin dalle prime pagine poiché a parer mio induce il lettore a proseguire la storia. Ho trovato molto interessante che fosse ambientato in piemonte poiché ho sentito i fatti narrati ancora più vicini a me e più reali. Lo stile di scrittura adottato rende il romanzo molto profondo e crudo, che però lascia spazio alla speranza. Consiglio la lettura poiché a parer mio invita alla riflessione su numerosi temi attuali.
     
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  6. Marina Marchisio
     
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    Un libro sulle donne, ma non solo per le donne;un libro sul male che si annida nelle realtà più disparate e nelle forme più inaspettate; un libro sulle relazioni, quelle intossicate dalla violenza, ma anche quelle più profonde e genuine;un libro sugli uomini che hanno imparato il rispetto per le donne,dopo aver sofferto per la mancanza di rispetto;un libro in cui tenerezza e crudezza si mescolano e sorprendono per la loro incisività;un libro che offre descrizioni di una Langa dolce e malinconica insieme a improvvise discese nel buio profondo del male;un libro di amicizie ritrovate anche nella disperazione; un libro in cui un cane che sembra rabbioso diventa un cane mansueto, perché ha trovato un padrone buono;un libro,insomma,ricco di numerose sfaccettature...e di piacevoli rimandi ad altri autori e ad altre pagine importanti.Un libro da consigliare, perché le parole che condannano il male sono preziose,sempre, anche se colpiscono al cuore.

     
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    - Le sbruffonate si erano presto spente. Parlava con quella sincerità ingenua che uno trova dentro di sé solo al ricucirsi improvviso di amicizie interrotte, quando, a chi ti chiede com'era stato ritrovarsi dopo tanto tempo, rispondi: "Abbiamo ripreso il discorso da dove lo avevamo lasciato trent'anni fa" - (Pagina 37)
    Tra le tante cose che mi sono piaciute di questo libro c'è sicuramente l'importanza delle relazioni che Domenico ricuce tornando nella sua terra, in particolare l'amicizia con Umberto e Caterina. Quest'ultima è, insieme a Gilda, una figura femminile particolarmente formativa per il protagonista, ed entrambe, con le loro personalità contrastanti, si rivelano essenziali nel suo percorso e arricchiscono notevolmente il libro.
    Un altro aspetto che ho apprezzato molto riguarda l'ambientazione della vicenda: leggere una storia così legata alle Langhe, per me che ci sono cresciuta, è stato stimolante e mi ha dato l'occasione di osservarle da un punto di vista diverso e nuovo. La consapevolezza di quanto accaduto a Canale ha turbato Domenico quanto me e per questo motivo consiglierei a tutti la lettura del romanzo, che, oltre che toccante, è ricco delle bellissime storie di altri personaggi marginali.
     
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    E' piacevole leggere e rileggere i vostri commenti...
    Se l'Autore li leggesse sarebbe molto soddisfatto dell'accoglienza data al suo libro da Lettrici e Lettori: gli ultimi commenti, e non solo, ne parlano come di un romanzo "da consigliare", perchè, seppur "crudo", è anche "profondo", capace di suscitare "speranza" e "tenerezza".
    Grazie, Giulia, per aver dato la tua interpretazione al rapporto tra Domenico e i due personaggi femminili che emergono sugli altri, Gilda e Caterina. Il richiamo alle Langhe, poi, ci sollecita a ricercare qualche bella citazione paesaggistica...
    Tra le colline è situata cascina Colombera, sorvegliata da un cane aggressivo, il cui muso è "una maschera di furore" (p. 31): si tratta di Pajun, il cane da guardia che, dopo questa violenta entrata in scena, si trasformerà in modo imprevedibile; Marina nel suo commento sottolinea giustamente il ruolo di questo "personaggio", la cui presenza si intreccia col percorso formativo "langarolo" di Domenico: sarà un caso che l'autore ritorni tante volte sul rapporto tra Pajun e il suo padrone, o vorrà lasciarci un messaggio tra le righe ?
     
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    “Le colpe, come le persone, iniziano ad esistere se qualcuno se ne accorge” questo scrive Michela Murgia in un suo bellissimo libro.
    L’ imperdonabile colpa dell’orrore inflitto a Maria Teresa , quando era soltanto una bambina, non esiste veramente finché qualcuno non se ne accorge ed inizia a cercare, a chiedere, a parlarne. Domenico fa proprio questo e ci insegna che, anche se è troppo tardi per incastrare e punire tutti i colpevoli, non è mai troppo tardi per rendere giustizia ad una vittima innocente.
    In un certo senso anche noi lettori, specialmente noi lettori cuneesi, diventiamo protagonisti di questa storia: Perissinotto ci costringe a guardare il male negli occhi e, rendendoci consapevoli, fa sì che insieme a Domenico possiamo rompere quel muro di omertà e aiutare Maria Teresa nell’unico modo ormai possibile: non dimenticare.
    Per altri aspetti invece, devo essere sincera, ho amato meno questo libro. Ho trovato che alcune relazioni seguissero cliché e stereotipi (penso per esempio alla scena del “bacio finto degli attori” fra Gilda e Domenico). Inoltre i molti riferimenti a social network, smartphone e mode attuali, credo dettati dall’esigenza di una scrittura moderna e giovanile, a mio avviso erano spesso superflui o spezzavano il ritmo del racconto.
    Ho invece molto apprezzato il fatto che Domenico, pur avendo la nomea da attore bello ed impossibile, si smarcasse da questo stereotipo e fosse sempre molto rispettoso ed attento a non approfittare della sua fama nelle relazioni con le donne che incontra durante la sua ricerca.
     
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    La lettura di questo libro ha sollevato in me sentimenti contrastanti: da un lato l'agghiacciante scoperta che la provincia non ci protegge dai lati più oscuri e feroci del mondo; dall'altro l'incredulità derivata dall'evolversi di alcune situazioni, come la relazione con del protagonista con l'infermiera.
    Ho apprezzato il tentativo dell'autore di dialogare con i grandi scrittori delle Langhe, raccontando questa terra meravigliosa e amara e citando, e forse abusandone, alcuni passi di Fenoglio.
    Nel complesso è stata una lettura piacevole, anche perché potevo riconoscere i luoghi descritti, ma forse esagerata negli accadimenti e nel cinismo.
     
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    Grazie, Angelica e Camilla, per la vostra fedeltà al Circolo!
    Le nostre ex allieve contribuiscono al dialogo con il loro spirito critico, equilibrato e attento nel valutare tinte e sfumature. Anch’io, tra le frequentazioni femminili di Domenico, preferisco la relazione con Caterina, che mi pare portatrice di valori significativi. Riporto la battuta di un dialogo con Domenico: “E non sei contenta?” “Sì. Però, intanto, la trentacinquenne che aveva sempre pensato che per farsi una famiglia ci fosse tempo è diventata una quasi cinquantenne, con un fidanzato che vede tre o quattro volte l’anno e una serie di uomini che sono passati tra le sue lenzuola senza neppure stropicciarle troppo. Tutto il resto è vino, vigne, vitigni, innesti, maturazioni, barrique, andare a scegliere i tappi, fare le assicurazioni agli stagionali, comprare un nuovo trattore, girare il mondo, d’inverno, con il campionario, stare in cascina d’estate, a sperare che non venga la tempesta, che non piova troppo o troppo poco. A vivere come i nostri vecchi” (p. 95)
    In realtà, però, Caterina interpreta il ruolo femminile in modo ben diverso dai “nostri vecchi”: non solo è un’imprenditrice di successo, ma sa godere della bellezza della propria terra (ricordate la sua terrazza “che domina le colline dall’alto”?) e ama la letteratura: sarà proprio lei che costringerà Domenico prima a riconciliarsi con Fenoglio, e poi ad amarlo: “… e cominciò a rileggere “La malora”: sì, gli sarebbe piaciuto portarla a teatro” (p. 205)
     
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  12. Irene Dutto
     
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    Inizialmente ho trovato questo libro poco interessante, ma andando avanti mi sono appassionata sempre di più alla storia e mi ha anche commosso verso la fine della lettura. Il fatto che fosse ambientato qui vicino mi ha permesso di immaginare in modo approfondito ogni dettaglio degli ambienti e sentirli quasi familiari. Sono anche rimasta molto colpita dal fatto che fosse una storia realmente accaduta, perché a volte si pensa che questo tipo di vicende si possano verificare solo lontano da noi, ma non è così purtroppo.
     
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    CITAZIONE (Gianfranco Bosio @ 20/2/2021, 14:19) 
    E' piacevole leggere e rileggere i vostri commenti...
    Se l'Autore li leggesse sarebbe molto soddisfatto dell'accoglienza data al suo libro da Lettrici e Lettori: gli ultimi commenti, e non solo, ne parlano come di un romanzo "da consigliare", perchè, seppur "crudo", è anche "profondo", capace di suscitare "speranza" e "tenerezza".
    Grazie, Giulia, per aver dato la tua interpretazione al rapporto tra Domenico e i due personaggi femminili che emergono sugli altri, Gilda e Caterina. Il richiamo alle Langhe, poi, ci sollecita a ricercare qualche bella citazione paesaggistica...
    Tra le colline è situata cascina Colombera, sorvegliata da un cane aggressivo, il cui muso è "una maschera di furore" (p. 31): si tratta di Pajun, il cane da guardia che, dopo questa violenta entrata in scena, si trasformerà in modo imprevedibile; Marina nel suo commento sottolinea giustamente il ruolo di questo "personaggio", la cui presenza si intreccia col percorso formativo "langarolo" di Domenico: sarà un caso che l'autore ritorni tante volte sul rapporto tra Pajun e il suo padrone, o vorrà lasciarci un messaggio tra le righe ?

    Forse il messaggio fra le righe è che come Pajun non era intrinsecamente cattivo, ma questa sua aggressività era causata dal rapporto con il papà di Domenico che lo aveva sempre trattato come una bestia feroce, così è anche per gli uomini. Forse anche gli uomini più spietati (i carcerieri di Maria Teresa , chi ha abusato di lei, chi sapeva e non ha parlato) o i padri assenti e anaffettivi (come quello di Domenico) non sono nati “cattivi” ma sono cresciuti senza amore e senza una possibilità di vita e di relazione con gli altri diversa rispetto a quella dei loro padri e nonni. E’ una considerazione difficile da accettare perché ci pone davanti all’eventualità di essere noi un giorno i “cattivi” di qualcun altro. Allo stesso tempo però fa sperare che ci possa essere una possibilità di riscatto per tutti. Fare come Domenico ha fatto con Pajun, mostrare una via diversa, più umana, di vicinanza, cura e affetto verso gli altri può spezzare quella catena umana che dal dolore genera soltanto altro dolore?

    Edited by Angelica Musso - 23/2/2021, 18:40
     
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    Questo libro mi ha colpito molto, soprattutto per il modo schietto, e mai superficiale, con il quale vengono narrati i fatti. Come è scritto nella premessa dell'autore: "Per rispetto dei morti, la vicenda che sta alla base di questo romanzo è stata raccontata esattamente come si è svolta o, almeno, come la giustizia ha stabilito." Ciò mi ha fatto riflettere, durante la lettura, e rabbrividire, perché storie come quella di Maria Teresa Novara vengono ancora vissute, in questi tempi moderni e giusti, da bambine, e donne, innocenti, in ogni angolo del pianeta.
    Ci sono molte frasi che mi piacerebbe citare o commentare, ma le più significative sono tre.
    La prima (a pagina 170) è "Mi scusi, signora Susanna, ma lei la storia di Maria Teresa Novara se la ricorda? [...] Certo che me la ricordo. Se la ricordano tutti qui in paese". Ovvero tutti, in un modo o nell'altro, sono stati colpiti dalla notizia...e molti sapevano, ma non hanno fatto nulla. Spesso è l'omertà a far più vittime degli atti di violenza.
    Un'altra (a pagina 136) è "il cane, spaventato dall'improvvisa libertà, rimase immobile, seduto". Il cane Pajun mi ha fatto tenerezza fin da subito: educato col bastone, alla fine impara ad essere fedele e ad accettare Domenico e la sua amicizia. In parte riassume il clima soffocante che provano, e provocano, i contadini della Langa, capaci di comprendere solo le privazioni, la violenza e il lavoro.
    E l'ultima (a pagina 232) è "Essere stati infinitamente migliori di loro non è una colpa: lo abbiamo capito tardi, a cinquant'anni suonati, ma ci siamo arrivati". Caterina pronuncia questa frase nel momento in cui lei, Umberto e Domenico si rendono conto appieno degli orrori commessi dai loro genitori, tutti colpevoli in qualche modo. E i figli si liberano dalle colpe dei padri. Mi è piaciuto molto quel momento, perché ha dato ai protagonisti il sollievo che cercavano da una vita e la possibilità di districarsi, una volta per tutte, dalla rete di bugie che i loro padri-padroni gli avevano imposto.
    In conclusione, questo è un libro che tutti dovrebbero leggere, per ampliare la propria visione del male, per conoscere meglio il tema della violenza e, soprattutto, per imparare che, spesso, sarebbero bastate piccole ammissioni per salvare delle vite, come la povera Maria Teresa, uccisa dalla paura di uno sciocco e dalla negligenza dei suo carcerieri.
     
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    Irene torna a sottolineare la forza suggestiva dell’ambientazione langarola: potremmo chiedere a lei, a Giada, a Beatrice Quaranta, a Milena, a Giulia, a Camilla e a tutti coloro che hanno sentito il fascino “silenzioso” delle colline, di proporci qualche bella citazione descrittiva…
    Beatrice Baggia e Angelica sono rimaste colpite da Pajun, il cane “educato col bastone” e rieducato con “vicinanza, cura e affetto”: sarebbe davvero bello saper estendere questa interpretazione del “cattivo” al mondo delle relazioni umane!
    A p. 175 Domenico riflette sulla banalizzazione turistica delle opere pavesiane. La frase “Dormire all’insegna della “Luna e i falò” (…) dimenticando la Gaminella che brucia nella notte”, mi ha fatto ricordare che anche nella cascina (anzi, “casotto”) di Gaminella c’era un cane che sembra l’antenato di Pajun: “Quando sporsi la testa dagli scalini, il cane impazzì. Si buttò in piedi, ululava, si strozzava. (…) Il cane urlava e strappava il filo”. Il cane della “Luna e i falò” farà una fine tragica, bruciato nell’incendio doloso della Gaminella. Quella povera cascina era stata la casa d’infanzia del protagonista, che, come Domenico, torna sulle Langhe dopo aver fatto fortuna, per ricercare le proprie origini, forse per stabilirvisi definitivamente. L’incendio e la distruzione della sua vecchia casa, però, rappresentano simbolicamente l’impossibilità, per chi se ne sia allontanato, di ritrovare il proprio legame con la terra d’origine. La storia di Domenico, al contrario, si apre alla speranza: egli riconquista la fiducia di Pajun, riprende possesso della Colombera e la “ripulisce” dalle ombre del passato, e infine si scopre innamorato di quei paesi che da giovane aveva rifiutato.
     
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