"Il silenzio della collina"

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Member
    Posts
    4

    Status
    Offline
    Dei molti passaggi di questo libro dedicati alle Langhe ce ne sono due che mi hanno colpito più degli altri.
    Il primo è collegato alla vasta presenza di stranieri nel nostro territorio e potrebbe aprire un dibattito interessante sul ruolo che questi nuovi abitanti hanno avuto e hanno tutt'ora sul paesaggio e sulla vita di queste zone.
    (Pagina 22) "Guardò ancora le colline: ci erano voluti i tedeschi per farle apprezzare ai langaroli. Gli inglesi nel Chianti e i tedeschi nelle Langhe, con il loro "marco forte" a comprare le case che quelli del posto lasciavano cadere in rovina, quelle sui "bricchi", sulle vette modeste ma inaccessibili di quelle ondulazioni che, in certi angoli, si davano arie da montagne. C'erano voluti gli stranieri per renderli orgogliosi dei loro vini, per convincerli a farli meglio, ad affinarli, ad amarli."
    La seconda citazione (Pagina 27) racconta la sorpresa di Domenico nello scoprire il cambiamento della sua terra d'infanzia e mi ha fatto riflettere sulle profonde mutazioni che interessano le nostre località nel tentativo di modernizzarsi e rendersi "a prova di turisti".
    "Dieci minuti dopo si fermava davanti alla Locanda della Posta. Com'era cambiata la piazza! Era tutta tirata a lucido, modernissima, cioè di nuovo antica, con il porfido per terra, invece del vecchio asfalto, e i lampioncini di Foggia ottocentesca, però con le lampadine a LED."
     
    Top
    .
  2.  
    .
    Avatar

    Junior Member
    Moderatore

    Group
    Moderator
    Posts
    8

    Status
    Offline
    Buongiorno a tutti. Ho letto con attenzione i vostri interventi.
    Ho apprezzato molto "Il silenzio della collina"; ogni sera per me è stato un piacere chiudere la giornata con alcune pagine del romanzo.
    "Perché tu hai sempre odiato Fenoglio. E' un po' come se io andassi allo stadio a tifare Juve": da amante di Fenoglio juventina, mi sono immersa nella lettura assaporando i luoghi del racconto. Per quanto concerne i temi trattati, sicuramente quello della "morte" mi ha fatto riflettere molto. La sofferenza è il denominatore comune tra gli uomini di fronte alla perdita di una persona a cui si è in qualche modo legati.
     
    Top
    .
  3.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Member
    Posts
    2

    Status
    Offline
    Oltre a tutti i temi che sono già stati affrontati, sono rimasta particolarmente colpita dalle parole utilizzate dal protagonista nel descrivere l'hospice e i suoi ospiti. Domenico afferma infatti: "era come se tutti quanti avessero un cartellino con la data di scadenza". La casa di cura sembra, quindi, sospesa in una dimensione temporale caratterizzata dallo scorrere incessante dei minuti che, però, non possono offrire istanti degni di essere ricordati e sorprese agli individui che la popolano. Questi attendono, infatti, un destino comune, già segnato. La sensazione di attesa che emerge durante la lettura del romanzo si carica, quindi, di una forte tristezza alla quale è impossibile porre rimedio.
     
    Top
    .
  4.  
    .
    Avatar

    Member
    Moderatore

    Group
    Moderator
    Posts
    140

    Status
    Offline
    I libri rivelano sempre qualcosa di chi li legge… così oggi abbiamo scoperto due passioni della nostra dirigente!

    Giulia ha risposto all’invito di ieri, accostando due citazioni che evidenziano le trasformazioni del paesaggio nella seconda metà del Novecento: la terra un tempo avara delle Langhe, sollecitata dal turismo, ha rivelato le sue ricchezze nascoste; il rischio, però, è quello dei lampioncini ottocenteschi che nascondono i led, cioè la perdita dell’autenticità, la banalizzazione, anche della grande letteratura langarola: “Paesi tuoi” e “La luna e i falò” erano diventati una specie di marchio di fabbrica, , titoli buoni per battezzare un agriturismo, un bed and breakfast, una vineria” (p. 175).

    Gli ultimi due commenti mettono in evidenza due lati della stessa medaglia: la sofferenza di fronte alla morte, da parte di chi ha subito o subirà la perdita, e soprattutto da parte di chi, come gli ospiti dell’hospice, vede scorrere inesorabile il tempo limitato che gli resta da vivere. Forse è in questa consapevolezza del “destino comune, già segnato” (come dice Chiara) che risiede la possibilità di comprendere, di accettare e di perdonare, interrompendo la catena di generazione del dolore (come diceva ieri Angelica), e addirittura trasformandola in una catena di comprensione e solidarietà, la “social catena” leopardiana della “Ginestra”.
    Forse siamo arrivati al momento giusto per affrontare un grande tema del romanzo, a cui molti di voi hanno già accennato: il rapporto padre e figlio…
     
    Top
    .
  5.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Member
    Posts
    5

    Status
    Offline
    Nel condividere le mie impressioni, parto da una considerazione: tra le pieghe di un romanzo che potremmo anche definire un "giallo", all'apparenza "leggero", filtrano riferimenti letterari importanti e riflessioni attualissime. Diciamo che non è da tutti. Sulla violenza brutale subita dalle donne in questa vicenda avete già scritto molto; colgo l'esortazione di Gianfranco ad affrontare il tema del rapporto con il padre.
    Ritrovare tra queste pagine dei passaggi della "Lettera al padre" di Kafka mi ha colpito molto; è un libro potente, in cui l'autore cerca di spiegare al padre che cosa li divida: il figlio scrittore e il padre commerciante, il figlio inquieto e senza certezze contro un padre granitico e sicuro di sé e della propria visione del mondo. Anche Domenico Boschis è come Kafka, anche lui sente di non avere nulla a che spartire con quel vecchio gretto e insensibile, senza altra aspirazione se non accumulare "terre al sole", senza la capacità di capire i sogni del figlio attore. Il disprezzo di Domenico per Tomé si estende fino alla Langa, la "terra madre" che è in realtà la terra del padre, quella di un mondo contadino di cui lui non vuole sapere nulla. Eppure, è proprio attraverso la riscoperta della sua terra (le scorribande in moto per le colline, la riscoperta di Fenoglio, il recupero delle vecchie amicizie) che Domenico comincia un processo di riconciliazione che, impercettibilmente, lo porta dapprima a scontrarsi, ma poi a riavvicinarsi al padre; Domenico arriva anche ad usare la sua arte di attore per raccontare al padre morente la storia che ha scoperto, per farla rivivere, ma anche per distribuire le colpe e le assoluzioni, per riconoscere infine che il padre era stato sì una persona cattiva, ma che nella morte della ragazza forse non aveva giocato un ruolo così attivo come aveva pensato.
    In realtà, però, non c'è un banale "lieto fine": Domenico può guardare in faccia il padre provando anche pietà, ma solo perché ha scoperto la verità, anche se terribile, e ora non gli resta che accettarla. La scoperta dei "lati oscuri" dei padri occupa d'altronde alcune delle pagine finali del romanzo: sapere finalmente la verità sui segreti che legavano i loro rispettivi padri permette a Domenico, Caterina e Umberto di chiudere col passato e di andare avanti: "Questa sera abbiamo stabilito una volta per tutte che i nostri padri sono stati dei grandissimi, enormi, smisurati figli di puttana. Abbiamo scoperto che dal rapimento di una bambina hanno tratto tutti e tre i loro vantaggi [...] Questa sera diamo definitivamente l'addio ai nostri sensi di colpa, al peso di non aver amato abbastanza i nostri genitori, di non essere stati dei figli come loro avrebbero voluto. Essere stati infinitamente migliori di loro non è una colpa" (pag. 232).
    Alla fine, allora, c'è il superamento del conflitto con i padri e con le loro bugie: insomma, quasi una rivincita di Kafka. Sembra che l'Autore voglia farci capire che è impossibile cancellare il passato, la storia da cui veniamo, per quanti sforzi di rimozione possiamo fare; tuttavia, possiamo accettarlo, comprenderlo, e magari anche superarlo, per essere davvero liberi di vivere.

    Edited by Alessandro Bertolino1 - 23/2/2021, 22:41
     
    Top
    .
  6.  
    .
    Avatar

    Member
    Moderatore

    Group
    Moderator
    Posts
    140

    Status
    Offline
    Gli ex allievi non deludono mai… tanto più quando sono diventati docenti! Grazie, Alessandro, per il tuo articolato commento critico; il parallelismo tra Domenico Boschis e Franz Kafka è convincente, e suggestiva è la conclusione: Domenico, il figlio, supera il conflitto col padre, e così facendo, dopo un secolo (la “Lettera al padre” venne scritta nel 1919, ma mai spedita) realizza la “quasi rivincita” di Franz. Con Domenico si liberano anche Caterina e Umberto, trovando “il sollievo che cercavano da una vita e la possibilità di districarsi, una volta per tutte, dalla rete di bugie che i loro padri-padroni gli avevano imposto”: cito il commento di Beatrice Baggia, alla quale dobbiamo dare atto di averci offerto per prima una chiave di lettura del rapporto padre figlio in questo romanzo.
    L’espressione utilizzata da Beatrice ci offre l’occasione per un suggerimento di lettura: “Padre padrone”, in realtà, è il titolo di un libro autobiografico di Gavino Ledda, costretto dal padre a rimanere analfabeta fino all’età di vent’anni, recluso nel podere di famiglia a svolgere il lavoro di pastore. Anche questo libro, che ebbe grande successo negli anni Settanta, si conclude con un vittorioso riscatto del figlio sul padre.
    Tornando al nostro romanzo, possiamo considerare il commento di Alessandro come un inquadramento tematico sul quale si potrebbero innestare ancora altri interventi e citazioni, magari anche grazie alle lettrici che qualche giorno fa hanno accennato all’importanza del tema e alla possibilità di una sua attualizzazione: Ilaria, Gaia e Beatrice Quaranta. Matilde si è soffermata invece sulle commoventi parole del vecchio Tomè, che sta mangiando il suo ultimo gelato: “E’ …uono …erché me lo dai tu”. E’ sufficiente questa battuta per riabilitare il personaggio?
    Non dimentichiamoci, poi, che nelle prime pagine del libro fa la sua comparsa l’ “altro” padre di Domenico: “E allora, se alla bidella diceva di sì, che quello era suo padre, non mentiva, perché Franco Balocco era stato ed era suo padre, e sapeva che lo avrebbe riconosciuto anche al buio, anche senza verificare che fuori dalla sua stanza ci fosse il simbolo del giglio dipinto sulla mattonella bianca” (p. 17)
     
    Top
    .
  7.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Member
    Posts
    2

    Status
    Offline
    Ho trovato "Il silenzio della collina" piuttosto interessante ed avvincente, pieno di riflessioni profonde in ogni sua pagina. In particolare mi ha colpito un passaggio (pagina 46):
    "-...ci sono due donne che vanno a fare i lavori dove le chiamano… Sono due marocchine, ma sono brave e fidate-
    Non aveva potuto impedirsi quel "ma", come se "marocchina" e "fidata", riferite alla stesa persona, suscitassero un certo stupore e necessitassero di una garanzia particolare."
    Queste parole mi hanno colpito molto perché sottolineano come spesso si provi paura, se non disprezzo, nei confronti di coloro che, per differenze fisiche, ideologiche, culturali, sono considerati marginali nella nostra società. Questi stereotipi, senza dubbio, sono senza alcun fondamento e credo che Alessandro Perissinotto abbia voluto dimostrarcelo nel suo romanzo. I terribili stupratori ed assassini della povera Maria Teresa, infatti, altri non sono che i padri, i vicini di casa, gli amici con cui si è vissuti a contatto per buona parte dell'infanzia e dell'adolescenza. Ricercare il Male nel "diverso" e credere che il colore della pelle, i tratti somatici, o la ricchezza siano sinonimo di rispettabilità, dunque, è del tutto sbagliato, in quanto non sono le caratteristiche fisiche o la provenienza a determinare la moralità, l'intelligenza, il valore di una persona.
     
    Top
    .
  8.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Member
    Posts
    7

    Status
    Offline
    Quello tra Domenico e il padre mi sembra un rapporto complesso, controverso: da un lato c'è un padre che è stato violento ed è ancora duro, freddo; dall'altra parte, invece, un figlio che oscilla tra il desiderio di ricostruire (o costruire) una relazione con lui (forse più per una necessità interiore? "Forse, ancora una volta, voleva solo dimostrare di essere migliore di suo padre, e voleva dimostrarlo a se stesso, perché, ogni tanto, […] temeva che qualcosa del vecchio Tomé […] fosse arrivato fino a lui") e un senso di indifferenza e incomunicabilità nei confronti di quella figura di cui non conserva ricordi positivi. In aggiunta a ciò, Domenico si ritrova anche a fare i conti con la storia della ragazza, che danneggia ancora di più l'immagine che egli ha di Tomé. Nonostante la sua (lecita) diffidenza, però, credo che il protagonista sia riuscito, se non a riempire un silenzio durato una vita, perlomeno a fare pace con il suo passato. Sarebbe interessante immaginare, invece, come il padre abbia vissuto i suoi ultimi mesi: mi chiedo quali sentimenti abbia provato nei confronti di Domenico.
    Nella storia compaiono, a margine, anche altri genitori e altri figli. Forse una menzione merita l'addolorato padre del ragazzo malato dell'hospice, che, a detta del medico, "è morto […] quando hanno diagnosticato la malattia al figlio.". Egli mi ha ricordato il padre che spezza le mandorle al figlio nel romanzo "La giornata di uno scrutatore" di Calvino. Sebbene la sua storia sia tragica e lacerante, ho apprezzato la sua presenza, perché sembra che egli riesca in qualche modo a "riscattare" le altre figure paterne, meno amorevoli e presenti, per ricordarci che esistono anche tanti padri buoni.

    Edited by Elisa Canavero - 26/2/2021, 08:25
     
    Top
    .
  9.  
    .
    Avatar

    Member
    Moderatore

    Group
    Moderator
    Posts
    140

    Status
    Offline
    Lettrici e lettori continuano la loro opera di scavo nel romanzo, portando alla luce nuovi particolari che possono essere sfuggiti ad una prima lettura, ma che, una volta individuati, si rivelano interessanti e preziosi.
    Sara parte dalle due donne marocchine, “ma fidate”, per farci riflettere sui pregiudizi etnici e culturali, molto più evidenti nella piccola realtà provinciale rispetto a quella della grande città. E’ il romanzo stesso che rivela l’infondatezza di questi pregiudizi, dimostrando che il Male non è “straniero”, ma si insinua e cresce accanto a noi, anche se scoprirlo e ammetterlo ci fa soffrire. Il libro, dunque, come già sottolineato nei giorni scorsi, ci mostra le sfaccettature inquietanti e imprevedibili del Male; eppure, questo stesso episodio sembra offrire anche uno spiraglio alla speranza: le due donne, venute da un paese lontano, con il loro lavoro aiutano Domenico a ripulire la Colombera, a liberarla dagli odori cattivi del passato, e insieme ai loro mariti, che tinteggeranno la casa, le restituiranno dignità…
    Ringrazio Elisa per aver risposto all’invito di approfondire il tema “padre e figlio”; come Sara, anche lei parte dal dato letterario per arrivare ad una riflessione etica, sul nostro modo di essere genitori e figli . Mi pare che la sua lettura offra un’altra prospettiva rispetto a quella della “rivincita” del figlio sul padre: quest’ultimo non è riuscito a meritare la fiducia del figlio, ma la relazione ricucita nel poco tempo concesso dal destino, è forse bastata per “fare pace”.
    Anche in questo commento, come nel precedente, vengono valorizzate delle “figure minori”, che poi minori non sono, perché ci costringono a riflettere su temi importanti: il figlio morente e il padre che lo assiste. L’accostamento con il padre e il figlio disabile della “Giornata” di Calvino è efficace, e tanto più apprezzabile in quanto questo romanzo rischia di essere un po’ “dimenticato” nella produzione dell’autore. La nostra lettrice utilizza questi riferimenti “per ricordarci che esistono anche tanti padri buoni”, per mostrarci che anche laddove serpeggia il Male, si trovano figure che gli si oppongono, pur nella sofferenza. Al riguardo, si potrebbero citare le ultime righe di un altro romanzo di Calvino, “Le città invisibili”: “L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
    Chiudo rilanciando la suggestiva proposta di Elisa: “Sarebbe interessante immaginare, invece, come il padre abbia vissuto i suoi ultimi mesi: mi chiedo quali sentimenti abbia provato nei confronti di Domenico”.
    Forse Matilde, qualche giorno fa, ha già incominciato a riflettere su questo aspetto…
     
    Top
    .
  10. Alessandro Perissinotto
     
    .

    User deleted


    Carissime e carissimi, grazie a quanti hanno analizzato e commentato il mio romanzo. E' davvero emozionate leggere così tanti post e vedere le vostre interpretazioni. Perché un romanzo non vive tanto nella sua scrittura, quanto nell'interpretazione dei lettori, nel modo in cui prende posto nella loro vita. Ovviamente non posso commentare ognuna delle vostre osservazioni e non sarebbe neppure corretto: il compito dell'autore si esaurisce nel momento in cui il romanzo è dato alle stampe: il resto è un confronto libero tra il testo e chi lo legge. Permettetemi però di fare i complimenti a quanti propongono le letture e a quanti animano questo forum: la Didattica a Distanza (di cui mi occupo dal 1996) è anche questo. Un caro saluto da Alessandro Perissinotto
     
    Top
    .
  11.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Member
    Posts
    4

    Status
    Offline
    “Il silenzio della collina” è un libro che mi ha colpito particolarmente per i temi che sono stati affrontati, la condizione della donna e il non rapporto tra Domenico e il padre. Nella vicenda viene trattato la tematica della donna, la quale viene infatti considerata come un semplice oggetti su cui gli uomini hanno pieno potere. Maria Teresa è una giovane ragazza di soli tredici anni che è stata rapita, maltratta e successivamente rinvenuta morta nelle Langhe. Tale cosa richiama molto il reato della pedofilia che oggi più di un tempo si è diffuso sempre più.
    Il protagonista della storia è Domenico il quale fu costretto a ritornare nel suo paese di origine a causa dell’imminente morte del padre. La frase «Quando si è ammalato, sono stato con lui tutti i giorni: gli cambiavo le flebo, gli curavo le piaghe da decubito, ascoltavo i suoi vaneggiamenti. Eppure continuo a sentirmi in colpa. Come vedi: vicini o distanti, i genitori hanno la capacità di farti sentire inadeguato comunque.» evidenzia molto bene la relazione che egli aveva con il padre. Difatti Tomè è stato un uomo molto violento e retrogrado, che ha costretto la moglie Carla a lasciare la città per riuscire a condurre una vita migliore.
     
    Top
    .
  12.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Member
    Posts
    4

    Status
    Offline
    <<forse i fili della marionetta si erano rotti, o forse il burattinaio si era stancato di tirarli>> questa è una delle frasi che più mi ha colpita durante la lettura del romanzo "Il silenzio della collina", poiché mette il lettore davanti ad una verità: l’autodeterminazione dell’uomo. Infatti l’uomo è in grado di fare si sé ciò che vuole, può diventare completamente padrone della sua vita inseguendo i suoi sogni, nonostante debba affrontare diverse avversità, come il trasferimento dalla piccola città di Alba alla grande Roma di Domenico, oppure può decidere di lasciarsi andare giorno dopo giorno come farà il padre del protagonista.
    Secondo me il tema dell’autodeterminazione è fondamentale all’interno della narrazione, come quello del rapporto tra genitori e figli, a cui si aggiunge il ruolo che occupava la figura della donna nel dopoguerra e per molti anni a seguire.
    I tre temi si inseriscono all’interno di una trama complessa che vede come protagonista Domenico, dovuto tornare in Piemonte a seguito di un’improvvisa chiamata da parte dell’hospice, il luogo in cui suo padre trascorrerà gli ultimi giorni della sua vita malato di un cancro al cervello. Durante la sua permanenza nel suo paese natio Domenico si riavvicinerà molto alle sue origini, scoprendo anche dettagli della vita di suo padre a lui sconosciuti.
     
    Top
    .
  13.  
    .
    Avatar

    Member
    Moderatore

    Group
    Moderator
    Posts
    140

    Status
    Offline
    Ieri abbiamo avuto la bella sorpresa di trovare sul nostro forum il saluto dell’Autore, che ha apprezzato ed anche legittimato, dal proprio punto di vista, il nostro impegno di Lettori come “costruttori di significati”, e di questo lo ringraziamo.

    Gli ultimi commenti riepilogano le tematiche più significative emerse in questi giorni; Gaia, in particolare, propone una chiave di lettura “trasversale”, nel senso che può essere utilizzata nei diversi ambiti tematici del romanzo: l’autodeterminazione, cioè l’atto con il quale ciascun essere umano può decidere di orientare la propria vita, in libertà e responsabilità. Leggendo il romanzo verrebbe da pensare che nel difficile contesto langarolo l’autodeterminazione sia una conquista recente: le donne e i figli nei libri di Fenoglio e Pavese (parliamo dunque dei primi decenni del secolo scorso) sono ancora soggetti all’inflessibile legge paterna. Anche nel nostro romanzo, del resto, Carla, la madre di Domenico, deve ancora lottare duramente e pagare con l’emarginazione il proprio diritto ad autodeterminarsi. Domenico, il figlio, ne ha seguito le orme con relativa facilità, ma il suo coetaneo Umberto, invece, non ce l’ha fatta: “Tuo padre ti diceva che i tuoi sogni di fare l’attore erano tutte cazzate, il mio non mi ha neanche lasciato sognare. (…) A me regalava il Piccolo chimico, e poi mi portava con lui nel laboratorio della farmacia. Io mi sono sempre visto col camice bianco addosso. Non ho mai desiderato altro”( p. 41). Sono passati più di tre secoli dalla “sventurata” monaca di Monza, ma sembra che talvolta il copione si ripeta…

    Infine, vorrei raccogliere la sollecitazione contenuta in una frase del post dell’Autore, secondo il quale un romanzo vive “nel modo in cui prende posto nella vita” dei lettori. In questi giorni, leggendo e rileggendo i vostri commenti, ho messo a fuoco una frase ricordata da diversi di voi: la pronuncia Caterina quando, verso la fine del romanzo, prende la parola a nome dei tre “figli”: “Questa sera diamo definitivamente l’addio ai nostri sensi di colpa, al peso di non aver amato abbastanza i nostri genitori, di non essere stati dei figli come loro avrebbero voluto. Essere stati infinitamente migliori di loro non è una colpa: lo abbiamo capito tardi, a cinquant’anni suonati, ma ci siamo arrivati” (p. 232). Ecco, da qualche giorno sto rimuginando sull’ultima frase; è evidente che, nella finzione del romanzo, essa ha una sua ragion d’essere: sappiamo bene in quali loschi traffici abbiano messo le mani i padri dei protagonisti. Proprio per questo, però, vorrei dire che questa frase non può essere la dichiarazione di ogni figlio, e non è un’affermazione che trova posto nella mia vita. Anch’io sono stato adolescente, anch’io ho preso posizioni conflittuali nei confronti dei miei genitori, soprattutto di mia madre, che tra essi aveva la personalità più pronunciata. Anch’io, nei momenti di rabbia e di rifiuto, mi sono detto: “Io questo non lo farò mai”. Eppure… sono passati gli anni; mi è toccato rivestire i panni del genitore a mia volta. Mi sono trovato ad assumerne le responsabilità, che qualche volta diventavano un peso. Ho ripensato ai miei genitori, che ora non ci sono più; ho riconsiderato le nostre antiche contrapposizioni…
    Anni fa ho trovato per caso un libretto, “Mia madre”, di Doris Lessing (premio Nobel per la letteratura 2007). E’ un testo autobiografico, in cui l’autrice (figlia ribelle) racconta la storia della propria famiglia, in particolare durante la permanenza in Africa. Ne consiglierei la lettura a chi vuole conoscere le radici di una grande vocazione letteraria, ma anche a chi ama confrontarsi con altre vite. E’ lì che ho trovato la frase che contiene il modo in cui oggi, alla mia età, vedo il mio rapporto con i miei genitori, soprattutto mia madre. Eccola: “E’ come se mi ci fosse voluta una vita intera per capire i miei genitori, e con continuo stupore. C’è un processo misterioso, che incute paura perché è inevitabile, che ci porta da un’adolescenza implacabile – quasi che i genitori e noi si stesse schierati a battaglia da parti opposte, le mani piene di armi – al momento in cui ci diventa possibile metterci al loro posto, con l’immaginazione, tutte le volte che vogliamo”.
     
    Top
    .
  14.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Member
    Posts
    4

    Status
    Offline
    Buongiorno a tutti,
    Ho finito di leggere il libro solo ieri quindi non ho voluto intervenire prima anche se ho letto i vostri commenti.
    Mi è piaciuto molto fin dalle prime pagine, lettura scorrevole che suscita il desiderio di continuare a leggere.
    La storia mi ha colpito più di altre per due motivi:il primo riguarda il fatto che si narra una storia vera, di quelle storie che ti lasciano rabbia e dolore anche dopo tanti anni.
    Il secondo motivo riguarda il fatto che tutto è successo ad un passo da casa nostra, in una terra che sento ancora più mia perché appartenuta ai miei nonni materni e a mio zio che ha vissuto vicino ad Alba, a Neive, per molti anni ricoprendo il ruolo di parroco. I miei nonni appartenevano proprio a quella civiltà contadina di cui si parla, leggendo il libro vedevo mio nonno lavorare la terra, seminare, coltivare e curare la vigna e questo mi ha letteralmente catapultato in quel mondo, in quelle cascine, in quelle aie, su quelle colline dove la vita era dura e dipendeva spesso dai capricci del tempo.
    I nomi di molti dei paesi citati mi suonano familiari, uditi tante volte nell' infanzia e spesso visitati.
    Il libro mi ha letteralmente catturata e catapultata in un periodo della mia infanzia ma con la consapevolezza di un adulto che scopre la realtà di una vita dura e talvolta amara.
     
    Top
    .
  15.  
    .
    Avatar

    Member
    Moderatore

    Group
    Moderator
    Posts
    140

    Status
    Offline
    Alessandro Perissinotto ci ha scritto che un romanzo “non vive tanto nella sua scrittura, quanto nell’interpretazione dei suoi lettori, nel modo in cui prende posto nella loro vita”: il commento di Paola è la testimonianza perfetta di queste parole, e noi la ringraziamo per aver condiviso con noi la sua personale “ricerca del tempo perduto” in Langa, tra la nostalgia dell’infanzia e la consapevolezza dell’età adulta.

    La nostra bella passeggiata tra riflessioni, suggestioni e riferimenti letterari ci ha riportati sulle Langhe, e qui vorrei provare a congedarmi da questo romanzo a nome di tutti, senza escludere che qualcuno di voi aggiunga ancora la propria voce alla mia. Per l’ultimo sguardo alle colline, sceglierei un punto di osservazione speciale: “La terrazza di Caterina, al cadere del sole, era luogo di riconciliazione con la vita o almeno così la vedeva Domenico al termine di quella giornata. Dominava le colline dall’alto, come se lì si fossero potute prendere le distanze dalle passioni che agitavano quella terra; le distanze dall’hospice, dai ragazzi che muoiono, dai giocatori di carte, dalla sofferenza di Maria Teresa, dal segreto nascosto nei balbettii di suo padre” (p. 215). La bellezza come fuga dal male e dalle sofferenze della vita umana? Forse no: “A tavola il discorso tornò su Maria Teresa, perché, malgrado la terrazza che sembrava direttamente ancorata al cielo, prendere le distanze era davvero impossibile” (p. 216).
    Dunque, la bellezza non può (e non deve) annullare la consapevolezza delle sofferenze che gli uomini infliggono e patiscono nella loro storia, ma forse la contemplazione della bellezza – un paesaggio, un’opera letteraria, una sinfonia - può renderci persone migliori, empatiche, capaci di attenuare la presenza del male nel mondo. Come non pensare a Foscolo e alla sua visione della vita e dell’arte? Lo ricordiamo attraverso le parole del “nostro” Baldi: “Un fondamentale valore alternativo che Foscolo propone è la bellezza, di cui sono depositarie la letteratura e le arti. Ad esse è assegnato da Foscolo il compito di depurare l'animo dell'uomo dalle passioni che nascono dai conflitti della vita associata, di consolarlo dalle sofferenze e dalle angosce del vivere. Ma, accanto a questo compito, alla letteratura e alle arti è assegnato un fine più alto: rasserenando e purificando l'animo dell'uomo lo rendono più umano, lo allontanano dalla condizione feroce che continua a permanere in lui dai tempi primitivi e che spinge alla violenza e alla guerra fratricida, gli insegnano il rispetto per gli altri uomini e la compassione per i deboli e i sofferenti”.
     
    Top
    .
60 replies since 18/2/2021, 15:33   2137 views
  Share  
.