"L'Appello"

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    L’appello

    L’appello di Alessandro D’Avenia



    Buongiorno e bentornati nel forum del Circolo dei Lettori creativi!
    Cominciamo con l’appello?
    A parte le battute, il libro di D’Avenia è perfetto per essere commentato in un contesto scolastico, dal momento che chiama in causa tutti gli attori che ogni giorno si muovono sullo scenario delle nostre scuole: dagli allievi agli insegnanti, dagli operatori scolastici ai dirigenti, ai genitori degli allievi.
    Un libro provocatorio, che ci interroga sia sul senso di questa istituzione, sia sul modo in cui ciascuno dei suddetti attori interpreta il proprio ruolo di giorno in giorno. Sarebbe interessante che la discussione sul romanzo suscitasse la riflessione e l’intervento di tutti i protagonisti di questa orchestra (per usare l’efficace metafora di pag. 10), che tutte le mattine cerca di accordare i propri strumenti ed eseguire una sinfonia…
    Per quanto mi riguarda, come insegnante vorrei citare una frase che mi interpella sul modo di organizzare le mie lezioni: “Le lezioni non sono tragitti in metropolitana, obbligati, ma passeggiate in montagna in cui ci si ferma quando si vuole, a riposarsi, a guardare il panorama, a toccare una pianta, a osservare un volatile…” (p. 32)
    Mentre la scrivo, mi accorgo che questa frase ci suggerisce anche come sviluppare il nostro forum: proviamo a ripercorrere il romanzo con calma, fermandoci a riflettere su una frase, confrontando un personaggio con un altro, gustandoci una pagina appena riletta, senza fretta …

    Buona passeggiata!

    Edited by Claudio D - 14/12/2021, 07:47
     
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    ‘’Decidi tu se con gli atomi ci fai una roccia dura ai colpi della vita, o se saranno i petali di rosa che si stropicciano tra le dita, o se assomiglierai a neve fredda che il sole poi la scioglie, o ad acqua di ruscello che dove trova si raccoglie, o ad aria leggera come quando è primavera. Noi siamo tutte le cose che decidiamo, di questo siamo fatti, di materia e di ciò che scegliamo’’. Di per sé, in questo romanzo non ci sono molte azioni o avventure, anzi i fatti sono molto lenti. Penso che la storia della rivoluzione della scuola, alla fine, passa in secondo piano, perché ciò che rimane è l’insegnamento di vita che il professore Romeo dona ai suoi alunni, nonché al lettore. (Alice Gallo classe 4BL)
     
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    In questo libro, scritto con linguaggio semplice e molto accessibile, Alessandro d'Avenia, attraverso la storia di un professore cieco che insegna scienze naturali in una classe definita da tutti gli altri insegnanti "disastrosa" e "senza speranze" riesce a raccontare le storie diverse dei suoi alunni, le loro emozioni e i loro sentimenti, come cambiano durante l'anno e quali sono le conseguenze, mettendo in evidenza avvenimenti positivi o meno che però, mai nessuno prima era riuscito a tirare fuori.
    Molto importante è il tema trattato per quanto riguarda l'importanza dell'alunno come individuo: questo professore non pensa ai ragazzi solo come un elemento a cui inserire tante informazioni nella testa come se si stesse riempiendo in vaso.
    Fondamentali, sono le conoscenze e le abilità che la persona può apprendere perché come diceva Maria Montessori "Il bambino con è un vaso da riempire, ma una sorgente da lasciar sgorgare", l'obiettivo dell'insegnante deve quindi si essere quello di educare il ragazzo allo studio e alla formazione di sé stesso da un punto di vista di nozioni culturali, ma anche alla formazione di sé stesso come individuo che vive all'interno di una società e che deve essere in grado di comunicare e ascoltare gli altri; di apprendere le storie di vita delle persone e renderle bagaglio culturale per aprire la mente e ampliare gli orizzonti di vita.
    L'insegnante che trasmette questo messaggio ai suoi alunni è l'insegnante di cui tutti avranno il ricordo migliore e sarà anche colui che forse avrà educato meglio i suoi ragazzi.
    Un modello di questo genere è stato già integrato nel piano educativo della scuola primaria nella quale gli studenti non vengono valutati tramite dei giudizi che valutano le competenze e non dei voti.
    È importante creare un programma che valorizzi ogni bambino non con l'obiettivo di portare tutti allo stesso livello ma con l'obiettivo di portare tutti al massimo delle proprie possibilità.

    (Irene Filippa 3AU)
     
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    Grazie, Alice, per aver rotto il ghiaccio!
    Sì, sotto il profilo del contenuto sembra proprio che la "rivoluzione dell'appello" si perda nelle pieghe della conclusione del racconto.
    Quindi, tanto rumore per nulla?
     
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    Se dovessi citare ogni frase che mi ha colpito, ne scriverei troppe. Ogni pagina ha un punto di riflessione, a partire dalla spiegazione del professore, dall'appello degli alunni e dal diario e pensieri del signor Romeo. Incedibile come una persona cieca sia riuscita ad aprire gli occhi e a guardare i suoi alunni, meglio di altri che li vedevano solo come contenitori da riempire. Porta un messaggio di cambiamento e scoperta, di vedere le persone oltre all'apparenza, di conoscerle a fondo e di ascoltare le loro storie e richieste di aiuto, non ignorarle. Non bisogna solo lamentarsi del sistema, ma bisogna essere i primi a cambiarlo personalmente , anche con "piccoli gesti". Ogni personaggio in questo libro ha il suo ruolo, che ti porta a riflettere su come siamo tutti diversi, su come abbiamo tutti una storia e un passato. Molto importarti sono le parole in questo libro, più che i fatti o l'azione
    Pamela Ghigo 4B sum
     
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    Alberti Sara cl. 3^ A.U. 15/12/2021
    Personalmente ho trovato il romanzo interessante e scorrevole. Ho amato la trama ma soprattutto il messaggio dell’autore, ovvero suggerire una scuola per cuori, menti e anime e non solo per corpi. Il titolo del romanzo è “L’appello” proprio perché sulle singole identità, sui nomi e sulle storie di ognuno dovrebbe concentrarsi un insegnante. Dietro ogni banco vi è una persona in formazione che ha necessità di essere amata da chi sta di fronte. Amare è un verbo ricorrente in questo libro, poiché solo dove c’è amore c’è comprensione e dove c’è comprensione c’è crescita. La scuola non è da intendersi come una scatola dove i ragazzi vengono farciti di nozioni ma è il luogo dove gli insegnanti aiutano gli studenti a scoprire la loro unicità, a cercare non l’errore ma le doti e le inclinazioni di ognuno. Le lezioni di Romeo spingono spesso il lettore a porsi domande e riflettere sulle questioni sollevate in classe anche in relazione alla propria vita.
    In particolar modo ci sono diverse frasi che mi hanno colpito.
    “Dare un nome proprio e dare alla luce sono la stessa cosa. Per riuscire a insegnare devo concentrarmi sulla presenza dei ragazzi e non sulle mie aspettative, devo lasciare che siano loro a venire alla luce e non io a illuminarli” (p. 37). Luce è la capacità di guardare davvero e lo può fare anche chi non vede con gli occhi ma attraverso anima e coscienza, riconoscendo ad ognuno la propria ricchezza. Questo è lo strumento per accedere all’individuo e per rendere efficace la materia che si cerca di trasmettere; senza questo ad esempio la chimica resterebbe un insieme di formule, la storia una successione di date, ecc.. Perché ciò accada, l’appello deve diventare una chiamata vera, una convocazione che si fa vocazione per i ragazzi che per la prima volta provano a mostrarsi a chi, pur senza vederli, riesce a riconoscerli uno ad uno. L’autore ci insegna che viviamo ogni giorno immersi nel buio delle nostre fragilità e delle nostre sofferenze, ma talvolta basta la semplicità di un gesto a riportare la luce. Al centro ci sono i dieci alunni con le loro maschere talmente incollate al viso da dimenticare cosa c’è sotto, ma è sufficiente ascoltarli, prenderli per mano ed i contorni della realtà assumono forme straordinarie: è questa la vera “maturità” a cui sono chiamati. Il romanzo offre una riflessione sulle maschere che ci incolliamo al viso ogni giorno, al punto tale da dimenticare quel che c’è sotto: “Noi sappiamo modellare la faccia sulle menzogne che ci raccontiamo, prima a noi e poi agli altri, aggiungiamo ogni giorno uno strato di trucco e poi non sappiamo più che faccia abbiamo o semplicemente non la troviamo più sotto tanti strati di menzogne” (p. 45). Nel momento in cui le maschere vengono calate si svela tutto ciò di cui è composta l’adolescenza: intensità, slancio, passione, dolore, paura, insicurezza, rabbia, solitudine, innocenza, voglia di divorare il mondo. Al centro delle questioni irrisolte dei ragazzi si nascondono spesso problemi famigliari: è nel grembo della famiglia che si inizia a costruire la propria identità, a definire il proprio carattere ed il proprio rapporto col reale ed è in quel contesto che spesso si generano crepe e disagi profondi. Al contempo, però, proprio nell’essere pienamente figli si nasconde la forza per accogliere l’amore e donarlo a propria volta, come emerge dalla frase: “La qualità della relazione tra i genitori è la vita interiore di un ragazzo. Non facciamo altro che proiettare sulla realtà l’amore o l’odio che i nostri genitori si sono scambiati, la speranza o il cinismo che il loro amore ha creato, i progetti, le promesse, le cadute e le macerie che la loro relazione ha prodotto negli anni”. (p. 90)
    In conclusione la copertina del libro è una perfetta sintesi dell’idea di scuola a cui aspirano i protagonisti de “L’appello”: un vaso che getta verso l’esterno i fiori, al posto di contenerli. Fiori tra loro diversi, con le proprie caratteristiche, e quindi unici, come gli studenti di una classe. Omero Romeo mettendosi in ascolto dei ragazzi a cui deve insegnare, scopre le loro unicità, le coltiva e se ne prende cura, affinché una volta fiorite spargano i loro semi nel mondo.
     
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  7. ionela taran
     
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    “Se solo ci prendessimo il tempo di ascoltarle, queste vite, chissà quante se ne salverebbero.” Un'affermazione che ci fa riflettere sul senso della vita. Il professore Romeo con tante difficolta, date sia dalla sua cecità, che dall'ambiente in cui è stato mandato, è riuscito a far aprire questi ragazzi ascoltandoli e conoscendoli. Tartassandoli con questa storia dell'appello è riuscito a cambiare la vita dei suoi allievi, alleviando le loro sofferenze. Nei nostri giorni questo non succede spesso, sia dal punto di vista scolastico, dato che alcuni professori sono molto più incentrati sul dare un voto a una persona che ad ascoltarla, sia per il fatto che noi come persone non vogliamo ascoltare gli altri. Siamo troppo egoisti da pensare agli altri e alle loro sofferenze, credendo che i problemi li abbiamo solo noi. Se solo ci fermassimo un secondo a pensare agli altri, cercando di capire i loro comportamenti e cosa li spinge ad agire in un determinato modo riusciremo forse a salvare gli altri intorno a noi. (Ionela-Casiana Taran; classe 4 B sc. umane)
     
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    Irene va dritta al cuore del libro, che ci fa riflettere sul senso ultimo della formazione scolastica: "educare il ragazzo allo studio e alla formazione di sé stesso da un punto di vista di nozioni culturali, ma anche (...) come individuo che vive all'interno di una società e che deve essere in grado di comunicare e ascoltare gli altri; di apprendere le storie di vita delle persone e renderle bagaglio culturale per aprire la mente e ampliare gli orizzonti di vita".
    La citazione di Montessori rivela che Irene ha fatto tesoro delle conoscenze scolastiche e sa usarle come chiave di lettura del romanzo: i tuoi insegnanti saranno orgogliosi di te!
    Irene dice che queste istanze sono già state accolte dalla scuola primaria; a quanto si legge nel libro, invece, la scuola superiore è ancora lontana da questo clima. Ci si potrebbe chiedere se la vicenda raccontata nell' "Appello" rispecchi la realtà della scuola superiore di oggi, o ne accentui i limiti, per dimostrare una tesi precisa...
     
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    Le Lettrici delle Scienze Umane hanno trovato pane per i loro denti con questo romanzo!
    Pamela, Sara e Ionela, in perfetta sintonia con lo spirito dei Lettori Creativi, portano il messaggio di questo romanzo nelle loro vite, nella nostra vita di tutti i giorni: non basta lamentarsi del sistema, ma si deve provare a cambiarlo, a piccoli passi, con piccoli gesti, provando ad uscire da noi stessi per ascoltare gli altri, osando toglierci la maschera per mostrare anche le nostre fragilità.
    Le nostre Lettrici delineano con garbo il profilo del buon insegnante (tenendo presente che il prof. Romeo è insuperabile!): vedere gli allievi oltre l'apparenza, ascoltarli, conoscerli; aiutarli a scoprire le loro attitudini, senza limitarsi a segnare errori e dare voti.
    Grazie, in particolare, a Sara, che oltre ad aver messo in luce il tema centrale della famiglia, ci suggerisce un'interpretazione molto suggestiva dell'immagine di copertina:
    "Fiori tra loro diversi, con le proprie caratteristiche, e quindi unici, come gli studenti di una classe. Omero Romeo mettendosi in ascolto dei ragazzi a cui deve insegnare, scopre le loro unicità, le coltiva e se ne prende cura, affinché una volta fiorite spargano i loro semi nel mondo"
    La rivoluzione del prof Romeo è proprio questa: far entrare la vita nella scuola, per preparare gli allievi alla vita, e tutto questo ben sapendo che, purtroppo, il senso della vita "in programma, non c'è mai" (p. 32)
     
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    Cosa significa fare un appello? Significa mettersi in contatto con ciascuno che porti un nome, che è solo suo, che lo identifica e lo rende unico. Questo semplice gesto quotidiano, che può apparire banale ai nostri occhi, ma condotto in modo "rivoluzionario" dal professor Omero in una classe "problematica", porta, entrambi, a conoscersi e, conduce gli alunni ad esternare le loro problematiche di vita, offrendo loro uno spunto per liberarsene. La grandiosità di questo professore sta in questo: con un semplice gesto trova il modo di ascoltarli e di scavare nel loro profondo, senza giudicarli per la loro condizione. Un professore rivoluzionario dotato di una sensibilità particolarmente raffinata a causa della sua condizione di disabilità; una disabilità (la cecità) sicuramente solo esteriore, contrapposta ad una grande anima, capace di rapportarsi ad alunni problematici con una naturalezza incredibile e ricevendo da loro riscontri positivi.
    Ho amato questo libro per il suo modo scorrevole della lettura, quasi da leggerlo tutto in un fiato. Ho amato lo stile di questo professore "rivoluzionario" che ha fatto di una sua disabilità, un valore aggiunto. Un grande Maestro di vita da cui attingere spunti per imparare l'arte dell'empatia e della capacità di relazionarsi agli altri attraverso gli occhi dell'anima. Come diceva Saint-Exupéry: “Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi.” (Maria Paola Rimedio 4BL)
     
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    La ringrazio prof. Bosio.
    Leggendo questo libro ho riflettuto molto sul fatto che a volte manca negli insegnanti una preparazione in campo pedagogico e piscologico soprattutto per quanto riguarda la scuola media. Alcuni insegnanti pur essendo molto preparati dal punto di vista della didattica non hanno la capacità di creare empatia con i propri alunni. Forse nella scuola superiore è meno evidente questa mancanza, poiché, avendo ogni studente “scelto” la sua strada è tendenzialmente più appassionato e coinvolto nello studio.
    Proprio per questo motivo la scuola superiore andrebbe forse “rivoluzionata” e strutturata con una più ampia scelta di corsi a cui partecipare e che ci permetterebbero di studiare, appassionarci e perfezionarci in ciò che ci entusiasma e coinvolge di più.
    Credo che se lo studio avvenisse in questo modo otterrebbe sicuramente un risultato migliore.
     
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    "Non ci sono solo cose che fanno male al corpo. Ne esistono ben di peggiori, e sono quelle che fanno male all'anima. Ma per queste non c'è nessuna normativa " con queste parole i ragazzi difendono l'iniziativa dell'Appello di fronte allo scetticismo del preside.
    Tra le tante citazioni di valore trovate nel libro desiro trattenere questa.
    Fa riflettere, infatti, su come spesso il benessere del corpo venga anteposto a quello dell'anima, quando in realtà la vita é costituita da entrambe.

    Elisa Abalintoaie 4AL
     
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    Buongiorno ragazzi belli! Buongiorno caro Gianfranco!
    Scusate se faccio subito la rompi scatole filosofa e l'avvocato del diavolo!!
    Sono rimasta stupita dalla concentrazione di competenze specifiche che questo autore gestisce e su cui si è posto domande o ha approfondito riflessioni...
    Dalla cabala e dalle citazioni dalla Bibbia (per esempio la questione iniziale sui nomi e la "nominazione" delle cose che le anima -nella Bibbia è l'"innesto" in loro della vita del verbo di Dio), alla chimica, alla fisica (le tre forze del cambiamento, i buchi neri ...), a dissertazioni di filosofia sulla natura del tempo, dei corpi, della memoria, della salute...alla percettologia dei colori (mi è venuto in mente Condillac e anche Hume) ...e voi ne avrete senz'altro colte altre più vicine ai vostri studi e alle vostre personali competenze...
    Non ultimo essersi calati (a lungo, direi) nell'ipotesi di esser cieco, immaginando come si potrebbe vivere e sentire. Questo è condotto come un esperimento "terapeutico" mi verrebbe da dire. Pari alla profondita di ricerca dei monaci buddisti...o dei mistici medioevali.
    Mi sono chiesta se questo libro non fosse una sorta di sfogo globale per l'autore. Come una scrittura da sopravvivenza. Come se tutto cio che conteneva e su cui si andava interrogando, a un certo punto non riuscisse piu ad essere contenuto..
    A tratti sembra che l'autore riutilizzi suoi più o meno antichi ragionamenti personali, come attingendo ad un diario.
    Ho trovato anche molto particolare il fatto che gli alunni parlino da adulti, assolutamente disincantati e completi su questioni profondissime, che normalmente si ritengono sproporzionate per la loro età. Quasi in bocca di ciascuno ci fosse, in realtà, una parte dell'anima dell'autore stesso che dialoga con se stesso.
    (Forse a volte anche a scapito, un po, secondo me, della nitidezza di identita' di ciascuno dei 9 personaggi...)
    Per esempio ho immediatamente pensato che il buon D'Avenia dovesse avere avuto una fase rap giovanile quando fa parlare Ruggine!!
    Secondo voi, se dovessimo sigillare in una parola, di cosa parla veramente questo romanzo?!
     
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    Buonasera,
    il libro "l'Appello" mi è particolarmente piaciuto, perché in esso ho riscontrato tanta verità, tanta consapevolezza della vita che mi ha portato a riflettere in modo profondo su quanto, spesso più che Vivere con la V maiuscola, ci blocchiamo al giudizio degli altri, e come ciò ci porti automaticamente a giudicarci sempre. A tal proposito, voglio citare un passo dell'insegnante Omero Romeo che mi ha colpito molto: "sono diventato cieco e non potevo più avere nessun controllo su questo sguardo e mi vergognavo ancora più di me stesso. Mi vergognavo della mia cecità, anche se non ne avevo nessuna colpa. Ma la vergogna di esistere è proprio questo: sentirsi colpevoli di qualcosa di cui non si è responsabili". Sono pienamente d'accordo con lui: oggi viviamo in un'era dove siamo costantemente giudicati per il nostro fisico, per il nostro carattere, o il nostro stile di vita finendo per essere sovrastati così tanta da tali critiche, da convincerci della loro validità, quando in realtà soprattutto per quanto riguarda le nostre "imperfezioni fisiche", non esiste alcuna legge che dice come dobbiamo o non dobbiamo essere, ognuno è bello perché diverso da tutti gli altri, tale peculiarità dovrebbe essere considerata un dono più che una condanna.
    (Matilde Bove, classe 4BL)
     
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    Maria Paola ed Elisa riflettono entrambe sul rapporto corpo e anima: nel romanzo, tra le due componenti, prevale il valore della seconda, che da sola è capace di superare i limiti di un corpo menomato, come quello del prof Romeo, che però sa mettere in campo, come dimostra Maria Paola, una sensibilità straordinaria, capace di superare la disabilità fisica.
    Grazie, Maria Paola, per aver ricordato la bella citazione dal "Piccolo principe", che calza perfettamente col messaggio che vuole darci il professore cieco. Del resto, è lui stesso a descriverci il momento doloroso, ma nello stesso illuminante, dell'accettazione della propria disabilità:
    "E in quell'istante sono rinato, perchè ho lasciato morire la vecchia vita in cui avevo io il dominio sulle cose. Era cominciata una vita nuova, in cui dovevo imparare a ricevere" (p. 202).

    Grazie anche a "Laura prof", per aver portato il punto di vista di un'insegnante (pur non spingendosi ad esprimere un parere sulla rappresentazione che della categoria docente viene fatta nel romanzo...). Certo, l'ampiezza degli interessi e la versatilità dell'autore possono stupire, ma D'Avenia è anche così onesto da riconoscere, nei "Ringraziamenti" in fondo al libro, l'apporto dei suoi colleghi docenti e di amici filosofi ed astrofisici.
    Interessante l'ipotesi che ci sia un po' di D'Avenia non solo in Omero, ma anche nei suoi allievi; del resto non sarebbe la prima volta che l'autore si cala nei panni di uno studente di liceo: lo aveva già fatto nei suoi libri precedenti, "Bianca come il latte rossa come il sangue", "Cose che nessuno sa" e "Ciò che inferno non è", anche se gli allievi del prof Romeo sono delineati in modo più schematico rispetto ai loro colleghi dei romanzi precedenti: ognuno di loro esemplifica un particolare atteggiamento o una particolare situazione adolescenziale.

    Allora, vogliamo raccogliere la bella sfida di "Laura prof", e sintetizzare il contenuto "vero" del romanzo in una sola parola?
    (se con una sola parola è troppo difficile, facciamo due o tre...)
     
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