"L'Appello"

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    Buongiorno,
    “L’Appello” di Alessandro d’Avenia è un romanzo che sviscera le relazioni, in particolare fra studenti e insegnanti, per (ri-)insegnare cos’è la scuola.
    È una storia lineare, schematica, nella quale le vite di dieci ragazzi e quella di un insegnante cieco si intrecciano e ognuno viene chiamato a scoprirsi e a ritrovare la fiducia nella scuola e nella vita. Insieme, danno vita a una rivoluzione che parte dalle persone, che torna a focalizzare l’istruzione su colui che deve, che vuole, imparare, e non su ciò che va insegnato. E questo processo non solo provoca enormi sconvolgimenti, ma cura ognuno dei personaggi dai propri problemi.
    La parola chiave del romanzo è, a mio parere, relazione ( “Non si danno stati di materia e di energia stabili, ma solo occasioni di relazioni tra le cose e quelle occasioni rendono le cose come sono” pag 102).
    Sono le relazioni a portare in salvo i personaggi dai loro orizzonti degli eventi, perchè a scuola, prima di tutto, si formano legami (“Le componenti ultime delle cose non sono punti indivisibili e isolati come noi immaginiamo le componenti dell’atomo, ma corde sottilissime, legami continuamente in vibrazione” pag 107).
    Il merito più importante di questo romanzo è il fatto che obbiga il lettore a ricordarsi com’è nata la scuola, perchè studiare è importante. L’ambiente scolastico non dovrebbe essere una gabbia, ma un trampolino da cui tuffarsi per soddisfare la propria curiosità. Il problema è che si tende a dimenticarlo, la routine uccide la relazione e la motivazione e tutto si riassume in un calendario di verifiche e interrogazioni.
    Questo libro mi è piaciuto molto, perchè la fine del trimestre tende a drenare le energie degli studenti e leggere aiuta a ricordare che imparare è molto più che imparare nozioni a memoria. Studiare vuol dire allenare l’occhio alla meraviglia, per cercare l’interessante in lezioni che, magari, di primo acchito, non lo sono.
     
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    Matilde - come fanno di solito le Lettrici e i Lettori del nostro circolo - ci offre una bella citazione e ne trae un utile insegnamento per vivere, anzi, per Vivere, senza lasciarci immobilizzare dal timore del giudizio altrui.
    Questa sua bella espressione, "Vivere con la V maiuscola", mi ha fatto recuperare un'altra citazione che fa riflettere sul senso più profondo della vita, in particolare quella di un insegnante:
    "E lei mi spiegò che da quando studiava e insegnava il greco e il latino non si era mai annoiata, si era sempre sentita aperta a una ricerca inesauribile. Quella fame la teneva viva e quella vita si trasmetteva agli altri. E questo è un grande sogno: non sopravvivere, ma essere vivi. Chi ha paura di morire cerca di resistere e si limita ad appropriarsi di energie già esistenti. Chi invece ha fame di vivere diventa un rivoluzionario, suo malgrado, perchè crea nuove energie che prima non c'erano e le introduce nella vicenda umana dando slancio, forza, calore agli altri."
     
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    Sono stata molto colpita dalla capacità dell'autore di partire da un evento fisico per ricondurre il discorso alle dinamiche personali. Durante tutto il libro c'è un continuo riferimento alla tavola periodica degli elementi e, durante la spiegazione scientifica di un buco nero, il professore si addentra nel mondo della visione soggettiva. L'immagine del buco nero può essere interpretata in base al vissuto di ognuno. Proprio in questa parte mi ha impressionata moltissimo la frase: "Nascere è venire alla luce, crescere è venire alla luce. Essere felici è venire alla luce. Forse per questo amiamo così tanto i tramonti e le albe, perché ci ricordano che siamo una parentesi di luce nel buio. Ma che cosa accade a chi resta nel buio, a chi vive nel buio, a chi non può essere raggiunto da ciò che permette a ogni cosa di essere presente e di rendersi presente?" (pagina 70). Purtroppo alcuni restano nel buio. Sta alla capacità dell'uomo, vivendo la sua vita appieno, cercare di raggiungere la luce. Questa ci viene data alla nascita: veniamo alla luce, dobbiamo cercare di vivere e lottare per rimanere in essa. E da qui si crea il paradosso che la morte chiama le cose alla vita, ogni nostra cellula combatte la mortalità cercando l'immortalità.
    Leggere questo libro significa entrare nel mondo del possibile. Un cieco può vedere più profondamente di un vedente. Attraverso gli altri sensi ultrasviluppati impara a "vedere" un mondo diverso, vissuto diversamente e in modo più profondo.
    Riassumerei il libro con la parola Reciprocità, intesa come la capacità del professore di vedere con gli occhi dei ragazzi e questi ultimi di vedere con quelli di Romeo, ossia la capacità di guardare al di là degli occhi, osservare il mondo, le persone con l'ausilio di tutti i sensi, andando al di là della superficialità e della pura vista estetica delle cose.

    Letizia Chiappero 5 AU
     
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    L'intervento di Beatrice si colloca idealmente accanto a quelli di Irene, Sara, Ionela e Maria Paola: anche lei sottolinea con efficacia il messaggio "scolastico" del romanzo, "che torna a focalizzare l’istruzione su colui che deve, che vuole, imparare, e non su ciò che va insegnato. E questo processo non solo provoca enormi sconvolgimenti, ma cura ognuno dei personaggi dai propri problemi."
    Come ho detto ieri, sono parole che dovrebbero renderci fieri di fronte alla dimostrazione di lucidità e spirito critico di alcuni nostri allievi, ma anche consapevoli della grande responsabilità a cui siamo chiamati, per cercare di corrispondere sempre meglio a questa visione alta e stimolante della scuola.

    La riflessione di Letizia sulla luce (fisica e interiore) ritorna anch'essa alla fine sul rapporto insegnante / allievi, con la bella immagine del professore che vede con gli occhi degli allievi, e dei ragazzi che vedono con gli occhi del loro docente. Mi sembra che questa osservazione rimandi ad un'altra pagina del libro:
    "La classe è uno di quei luoghi in cui siamo chiamati, che ci piaccia o no, ad accordarci. A ogni appello i nostri cuori si accordano un po' di più, e alla fine dell'anno batteranno all'unisono, ma solo a patto che ci siano compiti comuni da realizzare insieme." (p. 108)

    Ringrazio Beatrice e Letizia anche perchè hanno risposto alla proposta della nostra prof Laura, sintetizzando con efficacia il messaggio che hanno colto nel libro:
    - Le relazioni ci salvano
    - Reciprocità
     
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    Ho riscontrato che, nel caso de “L’appello”, non sia stata io a leggere il libro, bensì è stato il libro a leggere me: fra le pagine ho trovato domande, dubbi, paure e ansie dei dieci ragazzi della classe di Romeo, che mi sono sempre posta io stessa e ai quali non ho mai saputo darmi una risposta. A questi interrogativi, nel libro, l’autore non ha dato conclusioni scontate, ottimiste e banali, come spesso mi vengono presentate, ma degli spunti di riflessione e di comprensione.
    “Uno scrittore ha detto che ci si sente incompleti e si è soltanto giovani, invece è proprio il contrario: ci si sente giovani e si è soltanto incompleti. È questo che ci salva.”
    “Così accade nella vita, è sempre grazie a un’apparente mancanza che le cose possono muoversi, altrimenti rimarrebbero ferme, statiche. Tutto vibra in questo universo, in cerca di qualcosa che sempre manca, che non è un vuoto negativo, ma la spinta a una ricerca, a un compimento da raggiungere o da lasciare sempre incompiuto”.
    Queste sono alcune delle frasi che mi hanno portata a capire che il buio a cui a volte sento di appartenere è comune a tutti noi adolescenti, e che con il tempo e con l’amore ci porterà ad essere faccia a faccia con noi stessi e a trovare la strada che porta alla luce.
     
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    Beatrice Sampò è una nostra nuova Lettrice, ma è già entrata pienamente nello spirito del Circolo dei Lettori creativi:

    "Diventare un lettore creativo significa essere disponibili a dare il proprio contributo al libro che si sta leggendo, appropriarsene senza alcun complesso di inferiorità, ma neanche di superiorità, metterlo in gioco rispetto alla propria vita, concepire connessioni che derivano dalla propria specifica esperienza." (M. Fois)

    Beatrice ha espresso tutto ciò con un'immagine molto efficace: il romanzo "ha letto" la sua interiorità e le ha offerto degli spunti per "leggere" la propria vita di adolescente alla ricerca di sé ...
     
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    Nel romanzo Omero, professore di scienze divenuto cieco in seguito ad una malattia, viene chiamato a prendere in carico una classe quinta liceo la cui insegnante di ruolo è improvvisamente mancata. Si tratta di una classe problematica; dieci studenti complicati e con numerose fragilità alle spalle : madri sole, mancanza di lavoro, padri assenti, difficoltà economiche e dipendenze da droghe. Già dalla prima lezione emerge chiaramente che il professore è più interessato a conoscere i ragazzi piuttosto che la lezione stessa e che il suo obiettivo è guidarli verso la loro crescita personale. Attraverso l'appello quotidiano in cui ogni ragazzo pronuncia il suo nome e racconta qualcosa di sé e toccando il loro viso, il Professor Romeo conosce i suoi ragazzi` comprende le loro difficoltà e intravede i loro desideri e sogni. Proprio perché “La vita va da quando decidono che nome darti a quando quello stesso nome è solo un graffio su una lapide. Nell’uno e nell’altro caso non hai l’iniziativa, quelle lettere sono tutto ciò che hai per venire alla luce e provare a rimanerci. Forse per questo gli antichi dicevano che il destino è nel nome: che ti piaccia o no, sei chiamato a rispondere all’appello.” Questa frase spiega in modo chiaro cosa sia il nome ma il professore dà un significato differenze all’appello perché pensa che a scuola debba essere insegnata la vera vita e che non ci si limiti soltanto a trasmettere un sapere in cui i ragazzi di oggi non trovano senso, se non in parte. Per insegnare la vita bisogna partire da loro, dai ragazzi, uno per uno, chiamandoli all’appello, ogni mattina perché “siamo fatti per nascere, non certo per morire. E un nome ben detto dà alla luce e dà alla luce ogni angolo dell’anima e del corpo Questo è il potere di un nome proprio”. Tutti questi ragazzi troveranno il loro riscatto grazie ad un Professore cieco che non vede, ma "ascolta i loro volti" senza giudicarli o avere pregiudizi. Un romanzo molto interessante che fa riflettere sul rapporto alunno-professore e insegna come si possano conoscere le persone senza guardarle.
    Maria Gastaldi, 3A scienze umane
     
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    Paschetta Francesco 4B Scientifico (17/12)
    «Figlio mio, per fare una rivoluzione bisogna credere nella realtà. Ci sono persone che si illudono di fare le rivoluzioni solo con le loro idee, con l'immaginazione. Si convincono di una idea e poi cercano di applicarla alla realtà, fino a farle violenza, purché i loro conti tornino. Ma la realtà non si piega. E così quelle persone rimangono deluse della vita e si deprimono, perché non è andata come si erano immaginate. Invece chi vede veramente la realtà non può non amarla, perché è lei che a poco a poco ti si svela. E l'unico modo di lasciarsi sorprendere dalla realtà è seguire il proprio sogno [...]» Eppure, quanti al giorno d'oggi riescono a seguire veramente i propri sogni ammirando la realtà che li circonda? Quanti sono disposti ad accettare l'idea di non poter piegare la realtà al proprio volere?
    Proprio come altri ho apprezzato molto il libro, che è stato spesso in grado di mostrarmi aspetti di me stesso che raramente riesco ad analizzare da solo. Nel complesso credo anche che possa trasmettere al meglio l'idea della rivoluzione scolastica di cui l'Italia avrebbe bisogno sotto molti aspetti, ad esempio l'attenzione allo studente innanzitutto come umano, e poi come scolaro.
     
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    Buon pomeriggio a tutti.
    "All'inizio credevo che il mio compito fosse trovare le parole migliori per il pubblico che avevo di fronte, poi, giorno dopo giorno, fallimento dopo fallimento, ho scoperto che il pubblico ero io. Lo spettatore di un miracolo, parola che significa semplicemente "ciò a cui la vista non può sottrarsi".

    Sono rimasto colpito da questa citazione: spesso per preparare una lezione impiego moltissimo tempo a cercare le parole adatte per i ragazzi cercando di farli appassionare come io mi sono appassionato studiando e leggendo quelle cose e rimango deluso proprio perché sbaglio l'approccio; spesso noi professori abbiamo paura che i ragazzi si possano annoiare, abbiamo paura dei silenzi che invece sono necessari per riflettere sulle cose e quindi per conoscerle e farle proprie con l'amore (l'unica forma di conoscenza che possa esistere come ci insegna il professor Romeo, proprio perché è attraverso i silenzi che le cose si rivelano per quello che sono); spesso la preoccupazione che ci guida è che i ragazzi abbiano capito un ragionamento o una parola e quindi finiamo per far perdere una visione d'insieme ai ragazzi e, per utilizzare un'immagine presente nel libro, finiamo per servirci del microscopio al posto della lente di ingrandimento. Spesso mi dimentico che il pubblico siamo noi e che siamo noi a doverci proiettare all'indietro nella vostra età, a sentire cosa vuol dire provare incompletezza e a sentire che cosa vuol dire essere insoddisfatti quando spesso noi "adulti" ci siamo già accontentati di troppe cose "in questo rischio calcolato, che toglie sapore pure al cioccolato" (come dice una canzone dei Brunori Sas).
    Insomma, spesso non mi rendo conto che siamo noi che dobbiamo assistere ogni giorno allo spettacolo della vostra vita e che per poter assistere a questo mistero, "non è sufficiente la comprensione, ma la genuflessione".
    Ritengo che la parola che possa riassumere meglio il contenuto del Romanzo è amore, "l'unico punto in cui soggettività e oggettività si toccano". Perché se si ama non si segue solo una passione soggettiva e a volte rovinosa come ci insegna parte della tradizione poetica, ma si agisce anche secondo coscienza; e se si agisce secondo coscienza, non si sbaglia mai.
     
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    ovviamente intendevo "al posto di dare una visione di insieme".
     
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    Buongiorno,
    L'Appello di Alessandro d'Avenia è un libro molto interessante, scritto con un linguaggio semplice ma efficace. I pensieri di Cesare sono un esempio della grande capacità di scrittura dell'autore.
    La storia di questi dieci ragazzi e del loro insegnante cieco, che affrontano i problemi della vita e riescono a superarli mi ha fatto riflettere molto. Secondo me, la riflessione principale che ci porta a fare questo libro è proprio questa: ognuno di noi ha le proprie difficoltà, non dobbiamo credere che la vita degli altri sia perfetta e neppure che i nostri problemi siano più importanti di quelli altrui. E' proprio questo, a parer mio, che ci insegna la storia di questi ragazzi e del professore che iniziano l'anno scolastico "leccandosi le ferite" senza tenere conto a nessuno e lo finiscono maturi, uniti e risplendenti di luce propria. Ogni persona dovrebbe fare la maturità come questi ragazzi, solo così si riuscirebbe a crescere. Tutti dovrebbero riuscire ad affrontare la vita a testa alta e con il sorriso sempre sul volto, proprio come Romeo che dopo essere andato vicino al suicidio ha deciso di cambiare la sua prospettiva e di Vivere. Per fare a pieno questo ha inoltre capito che avrebbe dovuto aiutare altre persone a modificare la loro visione del mondo proprio come aveva lui.

    Le citazioni che più mi hanno colpito nel libro sono due, entrambe di Einstein. La prima è: "La cosa importante è non smettere mai di interrogarsi. Non si può fare a meno di provare riverenza quando si osservano i misteri dell'eternità, della vita, la meravigliosa struttura della realtà. Basta cercare ogni giorno di capire un po' il mistero. Non perdere mai una sacra curiosità." Questa frase è significativa perché ognuno di noi per non smettere di vivere dovrebbe guardarsi intorno meravigliato e cercare di capire cosa succede attorno a noi. Finché continuiamo ad interrogarci la nostra esistenza non sarà passiva ma brillerà.

    La seconda è: "Chi crede che la propria vita e quella dei suoi simili sia priva di significato è non soltanto infelice, ma appena capace di vivere." Questo è ciò che i ragazzi hanno scritto sui manifesti dell'appello. Finché crediamo che la nostra vita non a senso allora siamo infelici, o peggio appena capaci di vivere. E' solo quando cambiamo la prospettiva e ne vediamo la bellezza che allora inizieremo a Vivere.
    E' proprio questo che fa il professore Romeo: aiutare i suoi ragazzi a vivere e non a sopravvivere.

    (Alice Lisa 3 B Scienfico)
     
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    La “rivoluzione dell’appello” ha davvero colpito Lettrici e Lettori…
    Maria e Francesco tornano entrambi a sottolineare la forza rivoluzionaria del messaggio del prof Romeo, che sa comprendere gli allievi pur non potendoli vedere, perché le sue mani entrano in contatto profondo con loro, ed egli “comprende le loro difficoltà e intravede i loro desideri e sogni”, cioè li vede come persone prima ancora che come scolari. Il risultato, sottolineato da Alice, è straordinario: gli allievi concludono il loro percorso “maturi, uniti e risplendenti di luce propria”.
    Ma basta davvero dire il loro nome ogni mattina per raggiungere l’obiettivo? Lo stesso prof Romeo sa che il cambiamento, per essere tale, non può consistere solo in un rito, ancorché suggestivo, ma deve penetrare in profondità:

    “I professori non sono pronti per un cambiamento del genere, è qualcosa che si deve sviluppare lentamente, nel cuore, poi nella testa e infine nelle orecchie e nelle mani. Non basta una provocazione per cambiare un sistema, non è un’idea che imponi con la forza da fuori, ma qualcosa che si deve risvegliare a poco a poco da dentro” (p. 208)

    Un processo non facile, dunque, e soprattutto non immediato…
    Ed è per questo, allora, che ringraziamo il nostro “Simone prof”, che con il suo commento, mentre ci confida le sue preoccupazioni di giovane insegnante, ci rivela di essere stato colpito anche lui dalla forza di questa rivoluzione silenziosa, che consiste nell’imparare a guardare con stupore al miracolo della maturazione dei nostri allievi, che avviene a poco a poco sotto i nostri occhi.
    E grazie a lui, aggiungiamo un’altra risposta al gioco proposto da prof Laura, arrivando a tre:

    - Relazione
    - Reciprocità
    - Amore
     
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    “…provo a cercare sempre il lato luminoso della storia. E non perché io sia ingenua, ma perché non voglio concedere neanche un centimetro all’ombra, se non le è dovuto.”
    Mi hanno colpito molto queste righe del primo appello di Aurora, perché mi ci rivedo tantissimo. Cerco sempre di portare un po’ di allegria e spensieratezza nei momenti più tristi; cerco sempre di tirare su di morale le altre persone. Spesso infatti vengo descritta come una ragazza molto solare, con il sorriso stampato in faccia. A volte però mi mostro felice e in realtà non lo sono. Nascondo le mie debolezze e i miei momenti no, perché, come dice Aurora, non voglio concedere all’ombra neanche un centimetro, se non le è dovuto. Ma forse, ogni tanto, bisogna concedere all’ombra un po’ di spazio. Forse lasciarsi andare e sfogarsi è l’unico modo per non vivere nell’illusione di essere nella luce, quando in realtà si è immersi nell’ombra, ormai da tempo.
    I protagonisti di questo libro ne sono l’esempio: ognuno ha qualcosa da raccontare, ma nessuno lo aveva mai fatto prima dell’incontro con il professore Romeo. Questi ragazzi, pur essendo compagni di classe,non si conoscevano davvero. Hanno imparato a farlo con il tempo, solo grazie all’aiuto del professore. Ognuno di loro ha deciso di sfogarsi e non nascondere le proprie debolezze; ognuno di loro ha deciso di concedere un po’ di spazio all’ombra e alla fine si sono circondati di luce.
     
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    Ciao Simone! Grazie! Bellissima e potente la parte della genuglessione!
    E..viva sempre Brunori Sas😎👍
    In effetti ero indecisa se inperniare il libro su parola-silenzio come parole chiave..
    pero ci penso ancora finendo di leggere in queste vacanze...
    Grazie per chi ha aderito al gioco-sfida!!!
    Ragazzi! Bravi!! Scrivete bene, e siete profondi!
    Che bello sentire il vostro entusiasmo puro.
    (Le paure ce le abbiamo tutti ,tranquilli...ancora sempre anche alla nostra età per un sacco di cose, vero colleghi?!😂
    Però è anche il brivido della vita!!! )
    Fanciulla...chi si è innamorata di Oscar?!?!

    Fanciulle*
     
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    Grazie, Eleonora, per aver condiviso con noi il lato del tuo carattere che hai visto rispecchiato nelle parole di Aurora (nome di luce, come Stella…): il tuo commento è la dimostrazione di una frase del poeta latino Orazio, che, rivolgendosi al lettore, dice “E’ di te che si parla in questa storia”.
    Le tue parole rivelano anche che noi Lettori creativi troviamo tra le righe i suggerimenti, le domande, le riflessioni che possono orientare il nostro comportamento quotidiano.
    La luce è sicuramente uno dei fili tematici che si ripresenta spesso nella trama del romanzo:

    “Dare un nome proprio e dare alla luce sono la stessa cosa. Da quando sono cieco ho capito che la luce non è semplicemente quella che si riflette sulle cose, ma quella che ne esce quando le chiami per nome. (…) Per riuscire ad insegnare devo concentrarmi sulla presenza dei ragazzi e non sulle mie aspettative, devo lasciare che siano loro a venire alla luce e non io a illuminarli. Almeno ci devo provare…” (p. 37)

    Spero di non commettere forzature, se deduco dalle parole di Eleonora la quarta espressione da aggiungere alla nostra collezione (e intanto, grazie anche a prof Laura per il suo ultimo, pirotecnico post!):
    - Relazione
    - Reciprocità
    - Amore
    - Luce / ombra
     
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110 replies since 13/12/2021, 17:33   3542 views
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