"L'Appello"

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    E anche parola-silenzio!!
     
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    L’appello

    Lo Spirito del Natale ci spinga a manifestare con gioia
    l’umanità che ci deriva dalle nostre letture…
    Auguri!
     
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    “Se solo ci prendessimo il tempo di ascoltarle, queste vite, chissà quante se ne salverebbero.” Spesso siamo troppo concentrati su noi stessi e decidiamo di non vedere la sofferenza altrui; abitiamo sullo stesso pianeta e sfruttiamo le nostre stesse debolezze l'uno contro l'altro. Il libro, con chiare tendenze filo cristiane, condensa in questa frase il significato più grande che vuole trasmettere; un appello alla solidarietà, all'aiuto reciproco, al ritorno a quei valori che ci rendono umani. Condivido la posizione dell'autore; il mondo sarebbe decisamente migliore se tutti ci aiutassimo. Questo libro è veramente illuminante e penso si possa imparare molto da questa storia.

    Andrea Mascarello 4Bs
     
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    Buona sera a tutti, sono Francesca Gabutti della 3^As.

    Partendo dal presupposto che io non sono una grande lettrice, questo libro mi ha colpito particolarmente per la sua trama e il modo del professore di rivolgersi agli studenti (e anche a noi lettori).
    Credo però che l’aspetto che più mi ha colpito, oltre al metodo d’insegnamento proposto, è il modo in cui Romeo ha imparato nuovamente a volgere qualsiasi attività quotidiana, dal semplice vestirsi la mattina all’amare la propria moglie e i propri figli. Mi sembra impossibile il fatto che questo grande uomo sia riuscito a trovare il modo di vedere meglio di chiunque sia dotato della vista.

    “I volti sono come mappe, contengono tutta la geografia dell’anima, luoghi a cui occorre dare un nome e una storia.”
    Ho scelto una frase piuttosto banale, ma credo che sia molto diretta ed efficace; riesce a riprendere ciò che ho detto prima e allo stesso tempo completare la trama di tutto il libro.
     
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    Ringrazio Francesca, una nostra giovane “non grande lettrice”, per la sua sincerità: dal momento che la consapevolezza dei nostri limiti è la prima condizione per sforzarsi di superarli, prevedo che diventerà una fedele seguace del Circolo, e scoprirà il gusto della lettura “creativa”!
    Sulla “banalità” delle citazioni: non credo che la propria scelta possa cadere davvero su una frase banale, perché se essa è balzata alla nostra attenzione, significa che ha parlato alla nostra interiorità. E’ vero, invece, che il Lettore alle prime armi può forse sentirsi un po’ insicuro nell’argomentare la propria scelta di fronte agli altri Lettori, ma è un timore che si supera man mano che si prende dimestichezza con la lettura e si affina il proprio gusto e la propria capacità di analisi, anche attraverso il confronto con gli altri membri del Circolo. E poi, la frase che ha scelto Francesca è interessante: non trovate che contraddica, in un certo senso, la teoria delle maschere? Che cosa ne pensate?

    Andrea si concentra sul messaggio centrale del libro, rilevandone la matrice cristiana: sicuramente l’autore è attento alla dimensione spirituale, e in diversi punti del libro i personaggi si confrontano direttamente con Dio o almeno con le tematiche tipiche della riflessione religiosa (il dolore, il significato del male, la speranza). Una dei “ragazzi dell’Appello”, Caterina, addirittura maturerà la vocazione alla consacrazione, diventando suora di clausura.
    Tuttavia sono d’accordo con Andrea, che, mi pare, rileva come il valore della solidarietà, che si concretizza nell’aiuto reciproco, sia “umano” e non solo “cristiano”: ce lo dimostra Leopardi (ateo e materialista) nel passo famoso della Ginestra, in cui invita tutti gli uomini a formare una “social catena”, attraverso la quale aiutarci reciprocamente contro i mali che possono colpirci durante la nostra esistenza. Assolutamente condivisibile (e molto attuale!) la conclusione di Andrea: “il mondo sarebbe decisamente migliore se tutti ci aiutassimo”.
     
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    Toselli Jacopo, 3^A Sc.

    "Invece noi sappiamo modellare la faccia sulle menzogne che ci raccontiamo, prima a noi e poi agli altri, aggiungiamo ogni giorno uno strato di trucco e poi non sappiammo più che faccia abbiamo o semplicemente non la troviamo più sotto troppi strati di menzogne. [...] le maschere ti sono talmente incollate addosso che se le togli ti si strappa la faccia vera." (p. 45)

    In queste poche righe Caterina, una ragazza della classe del professor Omero, ci invita a osservare i comportamenti delle persone, che quasi sempre tentano di nascondere le proprie debolezze e le insicurezze, creando così una vera maschera sul proprio volto. Essi tentano in questo modo di nascondere certi aspetti del loro carattere, per risultare perfetti e "non sbagliati".

    Questo è un fenomeno molto frequente nalla società odierna, e molte persone tentano di modificare il proprio aspetto non solo interiore, ma anche esteriore, incontrando molto spesso problemi di salute (per voler perdere peso, o per assomigliare ad una persona famosa, ad esempio). E con il tentativo di nascondere l'identità personale, si finisce per non trovarla più "sotto strati di menzogne" (p. 45) e di parole, che "spesso sono la nostra prima maschera" (p. 46).
     
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    Gasco Valentina 3^B s.u.

    "Sul volto si legge tutta la storia di una persona e io non posso conoscervi solo dalle vostre parole"

    Il romanzo "L'appello" di Alessandro D'Avenia è un libro ricco di significati profondi che ci arricchiscono con insegnamenti e metodi di approccio morale. Il contesto in cui è ambientato, quello scolastico, mi ha anche avvicinata maggiormente a questo libro dal momento che si tratta di un ambiente strettamente vicino a noi studenti e si tratta di un luogo che ci troviamo a frequentare per una buona parte della nostra giornata.
    Molte frasi hanno lasciato in me un segno profondo, quella citata in precedenza mi ha colpita particolarmente. Concordo a pieno con l'affermazione del professore, in quanto in diverse occasioni, nella mia esperienza, ho potuto riscontrare questo aspetto. Infatti, molto spesso mi accorgo che quando mi confronto e discuto con altre persone il loro viso, le loro espressioni e il loro sguardo esplicitano maggiormente le loro emozioni rispetto a quanto sono riuscita a cogliere dalle loro parole.
    Il professor Romeo è limitato da questo punto di vista, dal momento che è privo di uno dei valori più importanti della nostra vita, ovvero quello della vista. Per questo motivo, l'unico strumento che quest'ultimo può utilizzare è quello di far emergere i pensieri e i ricordi dei suoi alunni per cercare di avvicinarsi meglio a loro e per conoscere la loro persona nel complesso. L'insegnante potenzia al meglio gli altri sensi che ha a disposizione, per sopperire alla mancanza della vista, in particolare sfrutta anche il tatto per sfiorare i visi dei suoi alunni e per analizzare gli aspetti che caratterizzano i loro volti per cercare di comprendere meglio la loro storia. E' proprio questo il suo intento, vale a dire quello di analizzare nel profondo i propri allievi e scovare le loro emozioni e storie nascoste attraverso i loro racconti, a cui seguono dei dibattiti dei loro compagni.
     
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    Nel "L'appello" di Alessandro D'Avenia, pubblicato nel 2020, mi ha colpito molto la frase “A che serve imparare se poi non riusciamo a cambiare niente, neanche noi stessi?” perchè è come funziona purtroppo la scuola italiana in questi tempi: ha l'obiettivo di inculcare conoscenze nella mente degli studenti senza interessarsi del pensiero del ragazzo/a; ora come ora allo studente importa principalmente il voto e ciò che si studia passa in secondo piano, invece ciò che si impara dovrebbe entrare dentro di noi e farne parte, riuscendo a cambiarci e a farci crescere. Questo libro tratta molto di questo tema e ritengo che possa magari essere un piccolo passo per una scuola migliore che si interessi di più sugli individui che sulle conoscenze.
    Alice Valentino, 4 b scientifico
     
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    Iris Tollini, 3^BU

    sulla base della lettura "L'Appello" ho riflettuto sull'utilità della scuola.
    Ció che si impara, una volta utilizzato nell'interrogazione/verifica, viene subito dimenticato. Dopo aver ricevuto una valutazione lo studente inizia ad identificarsi con quel voto, e la sua personalità viene quasi "oppressa". Veniamo classificati con una scala di numeri, ma i voti non fanno la persona. A me piacerebbe ricevere dalla scuola una conoscenza permanente, vorrei ricordarmi per sempre ció per cui spendo molte ore ed impegno nello studio.
    Alcune idee dei personaggi del libro mi sono piaciute, ad esempio quella di Aurora di abolire i banchi ed introdurre tavoli rotondi. Grazie al contatto visivo saremmo più spinti a partecipare.
     
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    Questo libro mi ha cambiato. Durante la lettura il livello di immedesimazione in ciascun personaggio è altissimo, ed è anche il motivo per cui la lettura non è stata molto difficile. In particolare 2 punti mi hanno colpito:

    -il primo riguarda i punti di vista adottati. Ho percepito la realtà in un modo diverso grazie al professore Romeo, che offre una descrizione del mondo che ci circonda attraverso l'amplificazione di tutti gli altri sensi, che dà un tocco magico alla lettura, in quanto arricchita di dettagli che vanno a perdersi usufruendo della vista ("La vista non può cogliere tutti i dettagli, perché ha fretta di fare subito una sintesi." pag. 16). I ragazzi invece, attraverso la descrizione dei problemi che li affliggono, fungono, a mio avviso, da critica nei confronti della società: in tutta la scuola la classe in cui insegna il professor Omero è vista come "una classe-ghetto, in cui sono stati confinati i casi disperati della scuola". La maggior parte delle persone ha pregiudizi nei loro confronti, mentre il professore come prima cosa decide di avvicinarsi a loro mettendo al primo posto la conoscenza reciproca, raccontando prima sé stesso, poi chiedendo agli altri di presentarsi. È ciò che si fa a un appello: ci si presenta. Questo verbo ha la stessa etimologia del sostantivo presente, che non ha solo un significato temporale, ma significa anche dono, regalo. Durante l'appello si regala una parte di sé ai presenti, una parte importantissima: il nostro nome, sul quale Alessandro d'Avenia fa riflettere molto.

    -il secondo punto riguarda il pluristilismo e la struttura adottata dallo scrittore per questo libro: alterna un linguaggio scientifico, nei momenti in cui deve trattare argomenti pertinenti alla materia che insegna il professore, a un linguaggio semplice, utilizzato dagli alunni, a un lessico che caratterizza una persona colta come Romeo, pur mantenendo la fluidità necessaria per rendere la lettura scorrevole.
    Lo schema narrativo è ben articolato: il libro è suddiviso regolarmente in mesi, corrispondenti ai capitoli del libro, che a loro volta sono suddivisi in certi punti dai nomi degli alunni che vanno a creare delle specie di sottocapitoli, nei quali viene dedicato spazio solo al ragazzo, che racconta una parte del proprio nome, presentandola (sia nel significato "far conoscere" una parte di sé, che nel significato arcaico "donare") agli altri.
     
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    Omero Romeo è un professore di Scienze e, come tutti i docenti appassionati di questa materia, insegna ai suoi allievi ad osservare gli effetti delle leggi della Matematica, della Fisica e della Chimica nella realtà della vita. Nella lettura del libro sono rimasto particolarmente affascinato dalla “Teoria delle stringhe” e da come il professore la collega al significato del suo Appello. Secondo questa teoria il mondo non è fatto di unità a sé stanti ma è un sistema complesso di relazioni tra entità che vibrano all’unisono ed è questa sincronia che determina l’armonia della vita. L’Appello, dando dignità di parola alle singole esperienze , riesce a superare l’entropia ossia il caos e il dolore del singolo in una armonica sintesi che, nell’empatia di tutti i cuori, supera la solitudine, la dispersione e l’opposizione delle forze.
    “La realtà non è fatta di atomi ma di storie.” (p.107)
    “Non siamo atomi ma molecole, non siamo individui ma nodi, non siamo isole ma arcipelaghi. Tutte le cose sono fatte così, non sono una qui una lì , sono collegate con fili invisibili: dietro ogni reazione c’è sempre una relazione.” (Cesare p.225)
    “Per questo la teoria delle stringhe per quanto ipotetica sembra al momento quella più fedele al mistero della vita. È tanto ipotetica quanto poetica.” (p.108)
     
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    Di tale libro ciò che maggiormente mi ha colpito è l'importanza che viene data al rapporto insegnante-studente. Quest’ultimo, infatti, è presentato da un nuovo e, allo stesso tempo, interessante punto di vista: il lavoro dell’insegnante non è solo caratterizzato dalla mera spiegazione di nozioni e concetti, finalizzata alla formazione dei giovani in vista di una futura carriera, professione, ma anzi, il suo obiettivo è quello di aiutarli a crescere, prima di tutto, da una prospettiva umana. Infatti, sin da subito il professore Omero Romeo non concentra le sue lezioni sull’esplicazione della propria materia, bensì si preoccupa di conoscere a fondo i suoi nuovi studenti attraverso un curioso modo di fare l’appello: ogni allievo si alza e descrive un aspetto della propria personalità a partire dal proprio nome.
    È davvero significativo perché gli alunni non si limitano a pronunciare meccanicamente “presente”, ma anzi, riflettono, giorno dopo giorno, sulla propria persona, permettendo al professore di delineare un continuo evolversi del loro carattere e di comprendere i loro rispettivi sogni e paure (Omero Romeo:“In meno di mezz’ora so di voi cose che altrimenti avrei conosciuto in chissà quanto tempo”, pag. 51; “Per questo le nostre lezioni prenderanno sempre l’avvio da qualcosa che ho notato in voi, qualcosa che mi ha stupito mentre vi ascoltavo. Questo metodo vi coinvolgerà personalmente e vi farà scoprire quanta vita c’è in ogni istante”, pag. 52). Ciò accade in modo analogo tra gli allievi stessi: i ragazzi, non essendosi mai veramente raccontati, scoprono per la prima volta delle caratteristiche e degli interessi dei propri compagni (Achille: “Io manco lo sapevo che ti chiamavi Cesare, ti ho sempre chiamato e sentito chiamare Ruggine”, pag. 41; Mattia:“ Professore, da 12 anni sono a scuola e nessuno mi ha mai chiesto di raccontare la mia storia”, pag. 48).

    Alice Daniele, 4^AL
     
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    Il romanzo intitolato L'appello di Alessandro d'Avenia offre un interessante spunto di riflessione sull'importanza che hanno i nomi. Infatti, oltre all'appassionante storia del professor Romeo, viene messo in evidenza il vero ruolo dei sostantivi: garantire l'esistenza a qualcosa che senza non l'avrebbe. Trovo molto interessante la scelta dell'autore di proporre al lettore un'analisi e una riflessione, a proposito di questo argomento, partendo dal racconto di un uomo che, alla fine, può affidarsi solo sull'utilizzo dei termini, poiché cieco. In relazione a quanto ho detto pocanzi la frase che più mi ha colpita si trova all'inizio del romanzo ed è: «sino a che non lo identifichi e non gli dai un nome, un fenomeno non esiste».
     
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    I Lettori non vanno in vacanza…
    O forse sarebbe meglio dire che per i Lettori la vacanza non è soltanto ozio, ma anche otium

    Jacopo riprende il tema delle maschere, su cui avevo invitato a riflettere, dopo la citazione riportata da Francesca Gabutti: se i nostri volti sono le mappe della nostra anima, com’è possibile coprirli con una maschera? Le citazioni scelte da Jacopo affermano che le maschere sono talmente stratificate, che talvolta sotto di esse non sappiamo neppure più trovare la nostra vera identità.
    Valentina cita invece una frase che riconferma la presenza della propria storia sul volto di ciascuno di noi, e la rafforza con la propria esperienza diretta, secondo cui le emozioni si rivelano più autentiche sui volti che nelle parole, le quali, secondo il personaggio di Caterina (v. post di Jacopo) “spesso sono la nostra prima maschera”.
    Le parole, dunque, possono essere menzognere, mentre il volto dovrebbe esprimere bene la nostra interiorità; ma se, nonostante questo, è possibile alterarla con una maschera posticcia, significa che abbiamo perso la capacità (e chissà, forse anche la volontà) di “guardare dentro” a noi e agli altri:

    “Con che coraggio giudichiamo le persone dal poco che sappiamo di loro? Eppure pretendiamo di sapere tutto grazie a quel 10 per cento che ci è dato vedere. Dovremmo invece provare a conoscere quel 90 per cento a partire dalle conseguenze che ha su quel 10 per cento, ma per farlo bisogna prestare attenzione e accordare tempo. Troppi ragazzi si sentono invisibili allo sguardo di noi insegnanti, che abbiamo il compito di farli crescere anche negli aspetti non ancora emersi della loro personalità” (p. 127)

    Valentina ci fa notare molto bene che il professor Romeo ha riacquistato questa capacità di “guardare dentro” nel momento in cui ha perso la vista fisica, sfruttando “anche il tatto per sfiorare i visi dei suoi alunni e per (…) comprendere meglio la loro storia.
    Aldilà dell’immagine suggestiva dell’insegnante che sfiora i volti dei suoi allievi, è chiaro che stiamo parlando di empatia, cioè della capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro. E’ possibile acquisire o potenziare questa capacità? Secondo la filosofa americana Martha Nussbaum si raggiunge questo obiettivo attraverso l’”immaginazione narrativa”, cioè la “capacità di pensarsi nei panni di un’altra persona, di essere un lettore intelligente della sua storia, di comprenderne le emozioni, le aspettative e i desideri”.
    Chi ama leggere le storie, dunque, non si limita ad arricchire la propria personalità, ma si dedica ad un’attività che aiuta ad aprirsi reciprocamente, a comprendersi, ad essere meno soli.
     
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    "un volto si spoglia solo quando lo tocchi a lungo. Niente ci spaventa di più di esser toccati dall'ignoto."
    Spesso mostrarci per come siamo davvero ci viene difficile perché non sappiamo come potremmo sentirci e come gli altri potrebbero reagire e soprattutto perché quando riusciamo a togliere le maschere che indossiamo, mostriamo anche le nostre insicurezze e riconoscere di essere vulnerabili ci spaventa. Grazie a questo libro ho capito che essere fragili non vuol dire essere deboli e che la fragilità è una cosa bella se condivisa con qualcuno. Ognuno di noi è importante anche se imperfetto per cui ogni volto dovrebbe essere considerato e ogni storia essere ascoltata.
    (Martina Racca 3BU)
     
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