"Sempre tornare"

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    Quando ho iniziato questo libro mi sono chiesta che folle avrebbe mai abbandonato gli amici per tornare da solo a Roma. Poi, andando avanti con la lettura, mi sono resa conto quanto per Daniele questo viaggio fosse importante. Nonostante infatti le prime titubanze di lui dovute all'insidiosa camminata sotto al sole cocente, non si è dato per vinto ed ha affrontato il suo viaggio.

    Trovo che questo libro faccia capire quanto sia importante lasciarsi indietro il passato. Molte volte infatti mi capita di ripensare a qualcosa successo tempo fa e ci rimugino a lungo, senza rendermi conto di quanto sarebbe liberatorio lasciar andare e finalmente trovare quella tanto agognata spensieratezza che inseguo.

    Questo libro fa anche capire come durante il proprio viaggio si incontreranno tante persone capaci di insegnarci cose diverse e che ci faranno vedere il mondo in molte sfaccettature che prima non avevamo considerato.

    "L'infelicità invecchia", queste due piccole parole mi hanno colpita molto. Nonostante sia una frase molto corta trovo che sia piena di significato; penso che l'infelicità sia un qualcosa che porta a logorarsi dentro alla ricerca di un fuoco che si è ormai spento e, per sentirsi sempre vivi, è necessario che rimanga acceso e venga alimentato ogni giorno.
     
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    All'ultimo arrivo anch'io.

    Sempre tornare è l'azzardata scommessa di chi del mondo così com'è non si accontenta, e con un grido feroce, un lamento di passione, si ribella a ciò che vede, a sé stesso. Con toni da poema epico, Daniele Mencarelli narra una storia che apparentemente ha ben poco di reale, ma più la si legge, più si comprende quanto effettivamente essa sia un concretato di realtà.

    L'intero romanzo è pervaso da un senso di spiritualità, a metà strada tra il divino e il terreno. Il viaggio è fine, ma anche mezzo attraverso il quale scoprire, conoscere, entrare in contatto con persone nuove, posti nuovi, esperienze sempre diverse. Non mancano i riferimenti alle città o alle opere d'arte, a partire da Sansepolcro e Piero della Francesca, per poi arrivare ad Assisi, la città di San Francesco e degli affreschi di Giotto. Riguardo a quest'ultima, queste le parole: "Assisi mi riempie gli occhi. | È bella come può esserlo un miraggio, qualcosa di desiderato con tutte le nostre forze, ma lei non è fatta di sogno, lei c'è, esiste." (p. 187). D'altronde, l'Umbria ben si presta a considerazioni di questo genere. Io l'ho visitata e posso dire che c'è qualcosa di sacro nell'aria, che risveglia nell'animo un sentimento antichissimo e misterioso che per secoli ha dormito e ora torna in superficie.

    Millenario è anche quel dolore che spesso affligge Daniele nel corso del romanzo (o forse non si può propriamente dire che sparisca mai) e che lui stesso chiama più volte "nostalgia". "Questo dolore, il mio dolore, è più grande di me. | Ha secoli. Millenni. | Non so perché mi abbia scelto." (p.26) Daniele tenta più volte di definirlo, cambia il suo rapporto con lui, a volte trattato come fosse un ospite indesiderato, altre come un amico di vecchia data. Questo dolore impregna le pagine e, assieme allo stile struggente, colpisce il lettore, che non può rimanere indifferente davanti a tanta sensibilità.

    Ho trovato la lettura piacevole, nonostante lo stile di scrittura non mi abbia sempre del tutto convinta. Contrariamente al forte senso di insicurezza che caratterizza il protagonista, giudico lo stile a tratti quasi pretenzioso. Non posso però fare a meno anch'io di riconoscermi, perlomeno in parte, in Daniele, nella sua spiccata empatia e nei suoi occhi che al vedere preferiscono il guardare.

    Caterina Gianolio, 4Asc
     
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    Intervengo solo ora in questa meravigliosa discussione sul romanzo "Sempre tornare". Voglio condividere con voi la mia riflessione, scaturita leggendo i vari capitoli, sulla fiducia nelle persone. Ho temuto per l'incolumità di Daniele, pagina dopo pagina, ogni volta in cui saliva su una nuova auto. Mi sono così resa conto della mia diffidenza nei confronti di chi ci circonda, mentre, nella nostra vita, la stragrande maggioranza degli incontri è estremamente arricchente.
    Alessandra Pasquale

    Edited by Gianfranco Bosio - 1/2/2023, 00:00
     
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    "Sempre tornare" mi ha ricordato gli anni in cui si viaggiava in autostop, senza cellulare e con pochi soldi. Ci si sentiva liberi e si stringevano nuove amicizie. Descrivendo paesaggi e borghi, Daniele apprezza sia la bellezza della natura sia la grandezza dell'opera dell'uomo. Le persone che incontra sono spesso infelici e sofferenti, nelle case che lo ospitano regnano incomprensioni e solitudine, tanto che Daniele ha nostalgia della sua famiglia da cui si sente amato. Alla fine della sua avventura giungerà alla conclusione che 'ogni viaggio deve prevedere un ritorno, in una casa che ci accolga e protegga'. Ma il viaggio di Daniele è soprattutto una ricerca interiore, il tentativo di superare un disagio che soltanto la madre ha potuto intuire. A pagina 318 si legge: "la mia vita si arrampica ogni giorno a mani nude sul crinale della gioia, e spesso cade, ruzzola, ai piedi della disperazione". Daniele tornerà a casa 'disarmato e arreso', consapevole di non essere riuscito a trovare le risposte che cercava e a risolvere i suoi dubbi. D'altronde, come si legge alla fine del romanzo, il viaggio non è finito ma "appena cominciato".
     
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    Una riflessione sugli ultimi interventi: mi sembra che il loro contenuto (come del resto quello di tutti gli oltre cento post di questa discussione) dimostri la fondatezza della definizione di “lettore creativo”, che il nostro Circolo ha tratto da Marcello Fois:

    “Ogni lettore deve essere libero di tradurre il proprio libro, di leggere il libro che ha scritto lui, non il libro che ha scritto lo scrittore. Questo fa la differenza fra lo scrivente e lo scrittore: lo scrittore è quello che sa liberarsi del suo libro. E il lettore creativo lo sa, lo capisce con passione. Dice a se stesso che quel libro che ha scelto, ha deciso di comprare, ha pagato, è diventato roba sua. Dentro quelle pagine ci mette tutto il suo patrimonio, che è diverso, complementare, opposto, rispetto a quello dello scrittore. Uno scrittore del proprio libro può raccontare i motivi che l’hanno generato, ma non certo il risultato: quello è un esito che spetta al lettore.” (M. Fois, “Manuale di letteratura creativa")

    Ogni lettrice o lettore si accosta al libro con la propria visione del mondo, con le proprie attitudini, con il proprio vissuto, e quindi può succedere (e al Circolo dei Lettori creativi succede spesso!) che le chiavi di lettura proposte per uno stesso libro non coincidano, per esempio quando i lettori appartengono a generazioni diverse. Per questo ringrazio Ornella, la mia collega insegnante d’Inglese, Laura, insegnante di Matematica, e la nostra dirigente, Alessandra Pasquale, per essersi messe in gioco, come adulte, nella discussione su questo libro, in cui gli adolescenti (le ultime sono Sara e Caterina) si sono immedesimati con tanto trasporto.
    Mentre Sara torna sul tema già discusso della necessità di andare oltre le esperienze passate, Caterina propone una sfumatura non ancora evidenziata: partendo dalla suggestiva bellezza del paesaggio umbro, ne coglie la componente di spiritualità che lo caratterizza, dai tempi di san Francesco: “Io l'ho visitata (l’Umbria) e posso dire che c'è qualcosa di sacro nell'aria, che risveglia nell'animo un sentimento antichissimo e misterioso che per secoli ha dormito e ora torna in superficie”. Per cogliere questa vibrante bellezza, così come la sofferenza, bisogna essere sensibili, come Daniele, i cui occhi “al vedere preferiscono il guardare”: una finezza lessicale, che rivela efficacemente il modo in cui il protagonista si pone di fronte alla realtà.
    Mentre le giovani Lettrici si immedesimano nel protagonista, le Lettrici adulte scelgono il punto di vista materno, quello di chi teme per l’incolumità del figlio, ma anche di chi (sola tra tutti) ne intuisce il disagio. Anch’io, come adulto e genitore, mi sono riconosciuto nel padre e nella madre di Daniele, e mi sono commosso leggendo la pagina in cui Daniele (novello Ulisse, ritornato ad Itaca, tra i suoi, dopo aver superato mille pericoli) scorge la madre in giardino:

    “E’ questo, forse, il compimento del mio viaggio.
    La distanza rivela l’amore.
    Lo mette alla prova dell’attesa.
    Mi alzo per andare da lei.
    Come sente la mia presenza si volta.
    Il sorriso non fa in tempo a spiegarsi del tutto.
    La delusione diventa pena.
    Fino alle lacrime. Che si trattiene.
    Lo sapevo.
    Ma altra cosa è vederlo sul suo viso.
    Senza dirmi nulla entra in casa, io dietro di lei.
    Tanto avremo da vivere.
    Il viaggio è appena incominciato.” (p. 319)

    Ha ragione la mia collega Ornella, a dire che Daniele è “consapevole di non essere riuscito a trovare le risposte che cercava e a risolvere i suoi dubbi”, ma ha “ritrovato” la madre, ne ha riscoperto l’amore, che si rivelerà fondamentale per il doloroso proseguimento del suo “viaggio”, raccontato nel libro “Tutto chiede salvezza”, di cui riporto qui la poesia (p. 126) dedicata alla madre:

    Sei sempre tu che vieni a riprendermi
    ne è piena la memoria
    di te che spunti e mi porti via,
    alle scuole tutti i malori
    li fingevo per vedere il tuo arrivo,
    fino a oggi dove niente si finge
    ed è vero il male che mi spezza,
    e quanto più è atroce aspettarti,
    passato dai banchi
    a questo bianco lettino.

    Il “bianco lettino” è quello del reparto psichiatrico in cui Daniele è ricoverato a vent’anni, tre anni dopo il viaggio raccontato nel nostro romanzo.
     
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    Buongiorno a tutti,
    come già nell'altro libro " Tutto chiede salvezza" Daniele dimostra una sensibilità molto profonda per un ragazzo della sua età. Credo che prima o poi tutti noi dovremo confrontarci con i grandi interrogativi della vita, Daniele ha iniziato molto presto. Trovare risposte non è facile soprattutto per un ragazzo così giovane che ancora della vita non conosce nulla. Credo che il primo passo, cioè cominciare a farsi le domande, sia fondamentale, la risposte verranno con il tempo e soprattutto dipenderanno dal cammino che si decide di intraprendere. Libro molto profondo che costringe a "guardarsi dentro".
    Grazie a tutti, i vostri commenti mi hanno aiutato a comprendere meglio.
     
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    Ringrazio Paola (la mia collega, insegnante di Matematica) per aver ricordato ai nostri giovani Lettori e Lettrici che le risposte ai “grandi interrogativi della vita” arrivano col tempo, e che perciò non occorre accanirsi nella ricerca, ma piuttosto vivere e condividere esperienze che insegnino a "guardarsi dentro", orientandoci verso la nostra personale soluzione.
    Mi associo al ringraziamento che Paola rivolge a tutti voi, Lettrici e Lettori creativi, che con i vostri commenti avete collaborato ad interpretare il romanzo, e filtrandolo attraverso la vostra vita e la vostra sensibilità, ne avete avverato il significato.
    Vorrei chiudere questo nostro bel “viaggio” nel romanzo con le parole dell’autore, riportando una citazione preziosa per me, ma anche per alcuni di voi, che l’hanno già segnalata nei giorni scorsi:

    “Di questo viaggio resterà una certezza, questo sì.
    Ho chiesto tanto.
    E tantissimo ho ricevuto.
    In molti mi hanno aperto la loro casa, mi hanno accolto come un amico offrendomi la sacra intimità delle loro cose.
    Ho mangiato nei loro piatti, usato le loro posate, asciugato il viso dove asciugano il loro.
    Io, uno sconosciuto raccolto per strada.
    Di tutto l’aiuto che mi hanno dato, i primi a sorprendersi sono stati loro. Si sono scoperti dentro una generosità che non sapevano d’avere. Perché è così. Io come ogni essere umano, siamo qualcosa di diverso, spesso più grande, rispetto al racconto che ci facciamo di noi stessi. Per scoprire quello che siamo veramente, abbiamo solo una maniera.
    Farcelo dire dagli altri.
    Accogliere le loro richieste, i bisogni, e nell’aiuto offerto scoprire la nostra reale statura, nostra e del nostro cuore.
    Questo mi rimarrà, per sempre.” (p. 307)
     
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